Addestramento
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Re: Addestramento
SCOOP ad ogni costo.
Come ormai gran parte della cinofila italiana saprà, mercoledì 15 corrente mese c’è stato un servizio della nota trasmissione "Striscia la notizia" riguardante l’ UD (Utilità e Difesa) andato poi in onda venerdì 17 maggio.
Il sottoscritto Ivan Farinazzo, istruttore cinofilo FederCinofilia, addestratore e figurante riconosciuto ENCI, nonché coordinatore nazionale dell'UD FederCinofilia, in accordo con il responsabile nazionale Claudio Minoli, intende in queste righe chiarire non solo la posizione di FederCinofilia in merito al servizio, ma prendere anche le distanze nei riguardi di alcune informazioni andate in onda inerenti la pratica cino-sportiva che rappresento.
Iniziamo col spiegare che l'UD (Utilità e Difesa) è uno sport, anzi è uno degli sport più antichi tra uomo e cane. Infatti Agility e Obedience, per citarne alcuni, sono nati anni dopo.
Da questo sport si traggono delle valutazioni zootecniche per aiutare gli allevatori nella selezione di determinate razze.
L’UD conosciuta anche con la sigla IPO, ha un regolamento non solo nazionale ENCI, ma internazionale FCI (Federazione Cinologica Internazionale) che appunto la regolarizza. Si svolge su tre fasi: A (pista), B (obbedienza), C (Difesa). Non entriamo in merito al regolamento per non annoiare nessuno, ma nello stesso è specificato un aspetto fondamentale: i cani che dimostrano stress nel “lavorare” col conduttore, i cani che risultino palesemente sottomessi (nessun essere sottomesso è felice) verranno sanzionati con la perdita di punti fino alla squalifica.
I cani che non rispondano al conduttore in qualunque fase A-B-C verranno classificati fuori controllo e quindi squalificati.
Nel servizio del Sig. Stoppa, sembra di vedere una loggia oscura ed illegale, dove chiunque si avvicini a questo sport torturi e sevizi i cani. La cosa non è affatto corrispondente al vero, ed è inoltre calunniosa per tutti quei proprietari conduttori che con passione e dedizione sacrificano tempo e soldi per fare uno sport col loro compagno a quattro zampe.
Chiaramente ci dispiace per la troupe di Striscia che ha subito una violenza mentre svolgeva il proprio lavoro. Ci dissociamo dagli atteggiamenti e sopratutto ci dissociamo dall'uso di strumenti coercitivi e violenti. Ma quella non la consideriamo Cinofilia. Sarebbe come dire che l’immagine del calcio è stabilita dalla violenza degli ultras.
Nello specifico, Federcinofilia non solo condanna l’utilizzo di strumenti coercitivi ma ogni forma di violenza su ogni essere vivente umano o animale che sia.
Parlando davvero di lavoro e di UD, la regia apprenditiva che in UD noi attuiamo è : RINFORZO POSITIVO IN CONDIZIONAMENTO OPERANTE E PROSSEMICA CON L’UTILIZZO DEL CLICKER.
In parole davvero molto semplici il cane lavora per la carezza, il cibo o la pallina.
Risultati ottenuti ( i più importanti):
- Cane: Feel Famus Become Coradex Game SCHNAUZER GIGANTE, proprietario e conduttrice : Donatella Veber ha rappresentato l’Italia al Mondiale di razza 2008, IPO 3.
- Cane: Iasi Delle Nuvole Nere DOBERMANN, proprietario e conduttore : Alessandro Di Stefan, ha rappresentato l’Italia al Mondiale di razza 2008, IPO 3.
- Cane :Challenge detto Surak PASTORE TEDESCO arrivato in IPO 3 seconda migliore difesa al campionato NATI ALLEVATI. 2010, conduttrice e proprietaria : Laura Michelin.
- Cane: Aster detto Evil PASTORE BELGA MALINOIS, proprietario e conduttore: Ivan Farinazzo, ha rappresentato l’Italia al Mondiale di tutte le razze FCI 2011 IPO 3.
- Cane : Zar Della Valle Incantata PASTORE BELGA MALINOIS, proprietario e conduttore :Massimiliano Trogu, ha rappresentato l’Italia al mondiale di tutte le razze FCI 2011.
Concludendo, i soggetti sopra citati sono stati addestrati in RINFORZO POSITIVO, IN CONDIZIONAMENTO OPERANTE E PROSSEMICA CON L’UTILIZZO DEL CLICKER, SENZA NESSUNA FORMA DI VIOLENZA. Arrivando non solo al massimo livello addestrativo (IPO 3), ma rappresentando il nostro paese in una competizione MONDIALE.
E l'assenza di violenza vale per tutti i cani e per tutti quei binomi che operano nell'UD in FederCinofilia.
Penso sia doveroso quando si fa informazione tenere sempre a mente due cose:
informarsi sull’argomento per avere una visione oggettiva e poi riportare i fatti senza ingigantire, deformare o generalizzare.
Molte volte lo scoop è lontano dalla verità ed è montato ad arte.
Il sottoscritto è sempre disponibile per qualsiasi informazione o visita nel mio centro da parte di Striscia e di Stoppa, e i conduttori sopra citati sono disposti a ripetere quanto sopra detto, riguardante l’addestramento dei loro cani, in qualsiasi sede.
Si è parlato di violenza e sevizie. Ma la prima forma di violenza è quella che si mette in atto screditando una categoria o uno sport senza neppure avere avuto il rispetto d’informarsi prima.
Cordialmente,
Ivan Farinazzo
Coordinatore Tecnico U.D. FederCinofilia
FederCinofilia - Cinofilia e Sport
Come ormai gran parte della cinofila italiana saprà, mercoledì 15 corrente mese c’è stato un servizio della nota trasmissione "Striscia la notizia" riguardante l’ UD (Utilità e Difesa) andato poi in onda venerdì 17 maggio.
Il sottoscritto Ivan Farinazzo, istruttore cinofilo FederCinofilia, addestratore e figurante riconosciuto ENCI, nonché coordinatore nazionale dell'UD FederCinofilia, in accordo con il responsabile nazionale Claudio Minoli, intende in queste righe chiarire non solo la posizione di FederCinofilia in merito al servizio, ma prendere anche le distanze nei riguardi di alcune informazioni andate in onda inerenti la pratica cino-sportiva che rappresento.
Iniziamo col spiegare che l'UD (Utilità e Difesa) è uno sport, anzi è uno degli sport più antichi tra uomo e cane. Infatti Agility e Obedience, per citarne alcuni, sono nati anni dopo.
Da questo sport si traggono delle valutazioni zootecniche per aiutare gli allevatori nella selezione di determinate razze.
L’UD conosciuta anche con la sigla IPO, ha un regolamento non solo nazionale ENCI, ma internazionale FCI (Federazione Cinologica Internazionale) che appunto la regolarizza. Si svolge su tre fasi: A (pista), B (obbedienza), C (Difesa). Non entriamo in merito al regolamento per non annoiare nessuno, ma nello stesso è specificato un aspetto fondamentale: i cani che dimostrano stress nel “lavorare” col conduttore, i cani che risultino palesemente sottomessi (nessun essere sottomesso è felice) verranno sanzionati con la perdita di punti fino alla squalifica.
I cani che non rispondano al conduttore in qualunque fase A-B-C verranno classificati fuori controllo e quindi squalificati.
Nel servizio del Sig. Stoppa, sembra di vedere una loggia oscura ed illegale, dove chiunque si avvicini a questo sport torturi e sevizi i cani. La cosa non è affatto corrispondente al vero, ed è inoltre calunniosa per tutti quei proprietari conduttori che con passione e dedizione sacrificano tempo e soldi per fare uno sport col loro compagno a quattro zampe.
Chiaramente ci dispiace per la troupe di Striscia che ha subito una violenza mentre svolgeva il proprio lavoro. Ci dissociamo dagli atteggiamenti e sopratutto ci dissociamo dall'uso di strumenti coercitivi e violenti. Ma quella non la consideriamo Cinofilia. Sarebbe come dire che l’immagine del calcio è stabilita dalla violenza degli ultras.
Nello specifico, Federcinofilia non solo condanna l’utilizzo di strumenti coercitivi ma ogni forma di violenza su ogni essere vivente umano o animale che sia.
Parlando davvero di lavoro e di UD, la regia apprenditiva che in UD noi attuiamo è : RINFORZO POSITIVO IN CONDIZIONAMENTO OPERANTE E PROSSEMICA CON L’UTILIZZO DEL CLICKER.
In parole davvero molto semplici il cane lavora per la carezza, il cibo o la pallina.
Risultati ottenuti ( i più importanti):
- Cane: Feel Famus Become Coradex Game SCHNAUZER GIGANTE, proprietario e conduttrice : Donatella Veber ha rappresentato l’Italia al Mondiale di razza 2008, IPO 3.
- Cane: Iasi Delle Nuvole Nere DOBERMANN, proprietario e conduttore : Alessandro Di Stefan, ha rappresentato l’Italia al Mondiale di razza 2008, IPO 3.
- Cane :Challenge detto Surak PASTORE TEDESCO arrivato in IPO 3 seconda migliore difesa al campionato NATI ALLEVATI. 2010, conduttrice e proprietaria : Laura Michelin.
- Cane: Aster detto Evil PASTORE BELGA MALINOIS, proprietario e conduttore: Ivan Farinazzo, ha rappresentato l’Italia al Mondiale di tutte le razze FCI 2011 IPO 3.
- Cane : Zar Della Valle Incantata PASTORE BELGA MALINOIS, proprietario e conduttore :Massimiliano Trogu, ha rappresentato l’Italia al mondiale di tutte le razze FCI 2011.
Concludendo, i soggetti sopra citati sono stati addestrati in RINFORZO POSITIVO, IN CONDIZIONAMENTO OPERANTE E PROSSEMICA CON L’UTILIZZO DEL CLICKER, SENZA NESSUNA FORMA DI VIOLENZA. Arrivando non solo al massimo livello addestrativo (IPO 3), ma rappresentando il nostro paese in una competizione MONDIALE.
E l'assenza di violenza vale per tutti i cani e per tutti quei binomi che operano nell'UD in FederCinofilia.
Penso sia doveroso quando si fa informazione tenere sempre a mente due cose:
informarsi sull’argomento per avere una visione oggettiva e poi riportare i fatti senza ingigantire, deformare o generalizzare.
Molte volte lo scoop è lontano dalla verità ed è montato ad arte.
Il sottoscritto è sempre disponibile per qualsiasi informazione o visita nel mio centro da parte di Striscia e di Stoppa, e i conduttori sopra citati sono disposti a ripetere quanto sopra detto, riguardante l’addestramento dei loro cani, in qualsiasi sede.
Si è parlato di violenza e sevizie. Ma la prima forma di violenza è quella che si mette in atto screditando una categoria o uno sport senza neppure avere avuto il rispetto d’informarsi prima.
Cordialmente,
Ivan Farinazzo
Coordinatore Tecnico U.D. FederCinofilia
FederCinofilia - Cinofilia e Sport
Cinofilia di ieri e di oggi (conta di più la teoria o la pratica?)
Cinofilia di ieri e di oggi (conta di più la teoria o la pratica?)
Valeria Rossi | 22 maggio 2013 | 0 Commenti | Stampa articolo
di VALERIA ROSSI – Una discussione nata da alcuni commenti in calce a un articolo mi spinge a tornare, per l’ennesima volta, sul tema degli scontri tra “scuole di pensiero” cinofile e in particolare sulla definizione di “professionista” della cinofilia.
Premessa: checché se ne dica, io non intendo litigare con nessuno! Non mi diverto a farlo, non avrei neanche voglia di farlo.
Però ritengo, come ho detto proprio in quei commenti, che il dovere di chi fa “giornalismo cinofilo” (ammesso e non concesso che esista, o che si possa definire così quello che faccio io), o comunque “opinionismo” cinofilo (che è indubbiamente quello che faccio io) sia quello di far conoscere anche al mondo dei non addetti ai lavori quello che succede davvero, e non quello di presentare un mondo idilliaco in cui tutti si vogliono bene e tutti coloro che sono iscritti ad una qualsiasi sigla seguono codici deontologici inappuntabili.
La guerra c’è, esiste, inutile negarlo. E quando c’è una guerra, chi fa – in un modo o nell’altro – informazione deve farlo sapere: non ci si può girare dall’altra parte. Occorrono spiegazioni e soprattutto soluzioni.
Per questo, ancora una volta, vorrei affrontare – il più pacificamente possibile – il tema centrale dello scontro, che ha come punto principale quello della cosiddetta “coercizione”, ovvero l’uso di metodi e strumenti che nel corso degli anni, grazie a una vera e propria campagna di demonizzazione, sono diventati sempre più invisi soprattutto agli occhi del neofita.
In seguito, le presunte “spiegazioni scientifiche” che hanno avallato questa tendenza (vedi il caso della presunta lista di danni da collare a strangolo diffusa dall’Asetra e poi divenuta una sorta di “bibbia” dei gentilisti, che ho già analizzato – e in gran parte smentito – in questo articolo) hanno fatto breccia nel mondo animalista, che a sua volta ha sfruttato il suo ben noto peso politico per ottenere ordinanze e restrizioni varie in alcuni Comuni italiani.
Un Paese dotato di una decente cultura cinofila non sarebbe mai arrivato a tanto, specie quando nello stesso Paese si evidenzia l’incapacità media della popolazione di gestire i cani: ma qui siamo arrivati al punto in cui si sta nuovamente pensando a partorire qualche “black list” per eliminare alcune razze canine… e contemporaneamente si vieta l’utilizzo dell’unico strumento che garantisce la sicurezza totale quando si tratta di gestire un cane impegnativo.
Cinofollia allo stato puro.
Ma lasciamo da parte queste polemiche che ormai escono dalle orecchie di tutti i cinofili (pur senza aver mai trovato uno straccio di soluzione) e proviamo ad affrontare un tema forse un po’ meno scontato, ma sicuramente più importante.
E cioè: chi, in cinofilia, può definirsi davvero “professionista”?
La risposta più corretta dal punto di vista legislativo, fiscale e quant’altro, è “nessuno”: per il semplice motivo che questa figura professionale non esiste. In realtà le professioni non regolamentate e prive di albi professionali hanno oggi una legge che le riguarda e alla quale bisognerà attenersi (Legge 14 gennaio 2013, n. 4, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 26 gennaio 2013, n. 22, e in vigore dal 10 febbraio scorso): ma ancora non siamo arrivati alla definizione di una regolamentazione specifica in ambito cinofilo.
La gente, dunque, crede (perché glielo lasciano credere) che per diventare “professionista” della cinofilia si debba seguire un corso (o più di uno) e ricevere il relativo diplomino: il che non è vero.
Neppure i corsi ENCI (unico Kennel Club italiano “ufficiale”, riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura) rilasciano veri “diplomi”: figuriamoci le altre – innumerevoli – sigle, talora legate a nomi “importanti” (per esempio il CONI), che di fatto però sono tutte associazioni private e autoreferenziali, che rilasciano attestati assolutamente privi di qualsiasi valore ufficiale.
Ma questa può essere una discussione riservata agli addetti ai lavori (o agli aspiranti tali), che ben poco interessa la Sciuramaria in cerca di qualcuno capace di aiutarla a superare i problemi del suo cane.
Alla Sciuramaria, invece, interessa sapere chi ha le competenze per fare cosa.
E qui casca non un solo asino, ma un intero branco di asini.
Perché, semplicemente… non si sa!
Ogni Ente, ogni Club, ogni Associazione – in questa allegra anarchia legislativa – decide in proprio quali sono i vari livelli e le varie qualifiche da attribuire ai suoi “diplomati” …e scusate se continuo ad usare le virgolette per questo termine, ma un diploma sarebbe, tecnicamente, un attestato rilasciato da un’autorità pubblica.
E in campo cinofilo, di autorità “realmente” pubbliche non vi è traccia.
L’ENCI è già “borderline”, trattandosi di Ente privato con un riconoscimento ministeriale: tutti gli altri sono privati al trecento per cento, con la parziale eccezione dall’APNEC che ha ottenuto a sua volta un riconoscimento ministeriale, e cioè l’inserimento nell’elenco delle “associazioni rappresentative a livello nazionale”, nonché la certificazione di qualità ISO 9001… che però, contrariamente a quanto molti credono, è un’altra certificazione assolutamente privata, rilasciata da un Ente privato (per quanto internazionale).
Dunque, lo ribadisco, di autorità pubbliche non si vede traccia e quindi di “diploma” non si potrebbe parlare.
Ma continuiamo pure a farlo per convenzione… e intanto andiamo oltre, e vediamo quale tipo di formazione offrono i vari corsi, senza fare distinzioni tra una sigla e l’altra.
La parte teorica, chi più e chi meno, la svolgono tutti in modo piuttosto approfondito: ovviamente ci saranno alcune discrepanze tra l’una e l’altra scuola, qualcuno avrà docenti più bravi e capaci di trasmettere il proprio sapere e qualcun altro un po’ meno, qualche corso durerà due settimane e qualcun altro due anni… ma una base teorica (sulla qualità della quale non intendo addentrarmi) la danno tutti.
E la pratica?
Qui, da quanto ho potuto vedere personalmente e soprattutto in base ai racconti di chi ha frequentato questi corsi, andiamo decisamente peggio.
In alcuni casi molto peggio.
Ci sono corsi che offrono un numero veramente esiguo di ore di “pratica” (50 ore, per esempio, per i corsi ENCI); ce ne sono altri per cui la “pratica” consiste nell’osservare l’esibizione di cinofili famosi e stimati; ci sono corsi da cui puoi uscire col tuo “diplomino” in tasca senza aver mai preso un cane al guinzaglio.
Ora, la domanda è: come possiamo aspettarci che queste persone inizino a lavorare “professionalmente” in campo cinofilo senza combinare pasticci inenarrabili?
E non è che cambi molto per le sigle/associazioni/gruppi che organizzano più corsi in “livelli” successivi (tipo: educatore, poi rieducatore, poi istruttore e così via): perché l’andazzo è sempre lo stesso.
Tanta teoria (via via più complessa) e sempre poca pratica. O pratica rivolta solo ad un settore della cinofilia (che può essere pet therapy, o agility, o protezione civile…ma è comunque sempre UNA singola specialità all’interno di un panorama cinofilo che ormai ne comprende una ventina, se non di più).
Ci sono scuole (continuo a non far nomi, ma se vi informate un po’ li scoprirete da soli) nelle quali il “diplomato” dell’anno precedente diventa docente nel corso successivo. Ma vi pare normale?
In alcuni casi, poi, le stesse distinzioni di “livello” appaiono quasi una presa in giro: per esempio, che differenza passa tra un educatore e un rieducatore?
Ehhhh… grandissima! dirà qualcuno.
L’educatore prende il cucciolo da zero e gli insegna a vivere bene nella nostra società, mentre il rieducatore prende un cucciolone o un adulto già “rovinato” da altri e lo deve rimettere in condizione di vivere bene nella nostra società.
Bene: se credete davvero che ci sia questa gran differenza, significa che con i cani non ci avete mai avuto a che fare.
Perché il lavoro è assolutamente identico e le cose da fare sono le stesse. Si deve spiegare al cane che le regole esistono e che vanno rispettate, e questo è tutto.
L’unica differenza sta nel fatto che, quando si “rieduca” un cane, bisogna riuscire a far capire ai proprietari cosa e come hanno sbagliato: ma per questo servirebbero corsi di psicologia umana, non di cinofilia.
Il caso davvero diverso è quello del cane mordace, o fobico: in questi casi, però, non si “rieduca” un bel nulla, ma si deve parlare di “terapia” comportamentale… che a volte viene affidata alla persona che ha fatto millemila corsi e che ha ottenuto qualche specifica qualifica (“istruttore”, “riabilitatore” o simili: non le conosco nemmeno tutte!), e in molti altri casi non viene neppure presa in considerazione. Cane e proprietario vengono direttamente spediti dal celeberrimo “veterinario comportamentalista” di cui, almeno oggi, non intendo proprio parlare… ma che – come risulta evidente dalla realtà dei fatti – moooolto spesso vede negli psicofarmaci l’unica soluzione possibile.
Sapete qual è la verità, a mio avviso (e invito chiunque a smentirmi, dati e fatti alla mano)?
E’ che da TUTTI i corsi cinofili escono persone che hanno una buona infarinatura di cinofilia. Punto.
Ma da qui a definirle “professioniste”, se permettete, ce ne passa.
Essere professionisti cinofili non significa conoscere a memoria il condizionamento classico e quello operante, sapere cos’è un arousal o una centripetazione. Significa saper prendere in mano un cane, saperlo “leggere”, capire di che cosa ha bisogno e saperglielo dare (e anche avere l’umiltà di passare la palla a qualcun altro, qualora ci si renda conto di non essere in grado di darglielo).
Invece, purtroppo, mi succede continuamente di vedere persone che hanno fatto il corso da educatore e che non sanno tenere in mano un guinzaglio.
Lo tiene meglio la Sciuramaria, che “va a orecchio”, è istintiva, non ha basi di nessun tipo… ma a volte – magari per puro caso – ci azzecca. Guarda il suo cane, cerca di entrare in sintonia con lui, si sfroza di leggere i suoi messaggi ed è anche capace di discriminare quelli importanti da quelli che non contano nulla.
L’educatore, invece, mi ricorda spesso il ragazzo che ha appena preso la patente, così impegnato a pensare “ecco, adesso devo schiacciare la frizione, poi mettere la marcia, poi mollare l’acceleratore…”, che magari non si accorge del pedone che sta per mettere sotto. Perché non ha gli automatismi, la capacità di discernere, la prontezza che arrivano solo dall’esperienza pratica.
Ai seminari che ho tenuto con Claudio Mangini e i cani tutor ho incontrato, per esempio, educatori che hanno completamente perso di vista il lavoro che si stava facendo sul cane (magari un cane aggressivo o fobico, che in pochi minuti recuperava serenità) solo perché si sono fissate sulla singola leccatina di naso, o sullo sbadiglio, subito interpretati come “segnali di stress, oddio!”.
E ovviamente ci sono stati anche quelli che vedendo apparire un guinzaglio da retriever hanno gridato allo scandalo (“oddio, un collare a strangoloooo!”) senza capire che, con strumenti diversi, si sarebbe potuta rischiare la vita del cane paziente o quella del cane tutor… o magari l’incolumità dell’operatore.
Ho visto, insomma, molta, molta, ma MOLTA inesperienza, condita a volte (ma non sempre) da eccessi di “saputellismo”, altre volte da preconcetti e dogmi vari… ma quasi sempre da pochissima capacità di muoversi in sintonia con un cane.
Cosa che invece si vede spesso in persone che se gli parli di Skinner ti dicono “CHIIII?!?!?”… ma che sono da trent’anni in mezzo ai campi a smazzarsi con i cani.
Certo, questi ultimi mancheranno di basi scientifiche: a volte, diciamolo, mancano perfino della capacità di esprimersi in un italiano comprensibile.
Però, se gli dai in mano un cane problematico, te lo sistemano. E non è assolutamente detto che lo facciano con metodi brutali o anche semplicemente “coercitivi”.
I cosiddetti cinofili “moderni”, invece (quelli che dicono “il futuro siamo noi e voi non siete un c…”)… a sentirli parlare sembrano libri stampati: ma poi capita che gli arrivi in mano un cucciolo normalissimo e che siano proprio loro, a forza di volerci applicare per forza sopra le teorie che hanno imparato sui libri, a farlo diventare problematico.
Educatori? Rieducatori? Istruttori? Professori?
Ma cosa importa! Questi, prima di appiccicarsi addosso una qualsiasi etichetta, dovrebbero diventare competenti in materia cinofila.
Ma la competenza non si compra tanto al chilo, purtroppo: si acquisisce col tempo, con l’esperienza, andando per prove ed errori. Errori che saranno sicuramente meno frequenti se hai anche una buona preparazione teorica, ma che sono comunque inevitabili – e forse addirittura indispensabili – se vuoi diventare davvero un professionista.
Un illustre cinofilo mi disse un giorno che il cane dovevo lasciarlo sbagliare; anzi, se non sbagliava dovevo indurlo io stessa a sbagliare, perché altrimenti non avrebbe mai capito cosa doveva e cosa non doveva fare.
La teoria potrà essere discutibile per quanto riguarda i cani, ma è sicuramente valida per le persone: se non sbatti qualche volta il naso, bravo non ci diventi.
Il grave errore di fondo della cinofilia cosiddetta “moderna” è quello di voler definire “professionisti” persone che ancora non hanno idea di cosa sia un cane reale e non teorico.
E’ quello di voler dare qualifiche a gente che potrebbe avere, al massimo, quella di “neofita informato”: che sta, però, al primissimo gradino di una lunga scala ancora tutta da percorrere.
Qualcuno lo spiega ai suoi allievi, a fine corso: glielo dice, che in pratica non sanno ancora una beatissima cippa.
E queste persone io le rispetto.
Rispetto molto meno, al di là di sigle e nomi, coloro che:
a) mentono sapendo di mentire, approfittando della drammatica fame di lavoro che c’è in questo momento storico e promettendo un lavoro sicuro – e professionale – a persone che potrebbero al massimo ambire alla qualifica di aiuto apprendista (e questo, fino a prova contraria, è anche un problema sociale, non soltanto cinofilo);
b) fanno credere ai loro “diplomati” di essere pronti a lanciarsi sul mercato, mettendone così a rischio l’immagine, i risultati e a volte la stessa incolumità fisica… perché chi crede di “sapere tutto” non si ferma davanti a niente.
Solo pochi giorni fa, nel corso dell’ennesimo scanno su Facebook, una persona ha dichiarato di occuparsi, in canile, di riabilitazioni che (parole sue) “non potrebbe neppure fare, perché ha solo la qualifica di educatore“. Ma le fa lo stesso, perché “altrimenti quei cani chissà dove andrebbero a finire“.
Beata incoscienza… ma forse neanche troppo “beata”, visti i rischi che corrono sia la persona stessa, sia i cani (vi immaginate un soggetto gravemente problematico in mano a qualcuno che non sa quello che sta facendo? A me vengono i brividi).
La conoscenza e la professionalità si sviluppano nel tempo, questo è innegabile: ma si sviluppano lavorando con i cani, non pagando millemila corsi sempre più costosi (per dare forse l’impressione di diventare via via “più importanti”). Si sviluppano lavorando fianco a fianco con i più bravi e più esperti, che possono spiegarti cosa e come fare.
Le competenze si acquisiscono vedendo oggi il cucciolo di border che tira al guinzaglio, ma domani, magari, il molosso che si è mangiato il proprietario: e prendendoli entrambi al guinzaglio, mettendosi in gioco, provando a combinare qualcosa di buono. Anche inventando, se non ti sorreggono le conoscenze che hai.
E se proprio hai paura di far danni, prendi il tuo cagnone e vai sul campo di chi ne sa più di te, ti metti lì e guardi come lavora.
E’ così che si cresce: non certo spedendo il cane difficile al comportamentalista che lo riempie di prozac.
Insomma: la teoria è importante, la pratica è importante: ma la seconda senza la prima può anche portare a qualche risultato, mentre il contrario non esiste proprio. E invece è quello che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi.
Per anni, anzi per secoli, c’è stata in campo cinofilo una “selezione naturale” che, tra l’altro, permetteva a chi si rendeva conto di non sentirsela (magari perché aveva paura) di mollare il colpo e di mettersi a fare qualcos’altro: invece oggi si vedono – e ne ho visti personalmente parecchi – “educatori” e perfino “rieducatori”, con tanto di relativo diploma, che HANNO PAURA DEI CANI!
Un tempo, in cinofilia, ci rimaneva solo chi aveva cuore, passione e arte: doti senza le quali non vai da nessuna parte, almeno in questo campo.
Purtroppo, oggi, rimangono tutti.
Un po’ perché non sanno che altro fare, visto che di lavoro non ce n’è; un po’ perché in questo sogno hanno investito una marea di soldi e non riescono a digerire l’idea di averli buttati dalla finestra. Però si ritrovano con dei limiti immensi che fanno danni gravissimi a cani e persone stesse.
D’altro canto, anche gli addestratori “vecchio stile” a volte fanno danni gravissimi: perché svariati di essi sono rimasti legati alla visione antiquata e sorpassata del cane da va sottomesso, che va schiacciato, che deve obbedire per forza…o “con” la forza.
I macellai, l’ho detto mille volte ma lo ripeto ancora, esistono: altroché se esistono.
Ma quelli, forse, non si potranno mai eliminare, se non denunciandoli e mandandoli in galera per maltrattamento.
Però esistono anche “le vie di mezzo”: ovvero quelli che io chiamo addestratori etici. Persone che hanno le conoscenze teoriche ma anche l’esperienza pratica; che sono sommamente rispettosi del cane e fermamente intenzionati ad essere il più possibile gentili (non “gentilisti”, magari, ma gentili sì)… almeno fino a quando è possibile.
Solo che, trattandosi di persone che hanno esperienza “vissuta”, che hanno visto davvero centinaia di cani di ogni tipo (e non solo frugoletti da compagnia, ma anche cani così tosti che i moderni “educatori” non ne concepiscono neppure l’esistenza), sanno benissimo che con certi cani e in certe circostanze non si possono fare distinzioni aprioristiche tra ciò che è “buono” e ciò che è “cattivo”, ma si devono adattare metodi e strumenti ai singoli casi (e saperlo fare è indice di quella che ritengo l’unica, vera professionalità), sempre con rispetto e sempre tenendo in primissimo piano il benessere del cane, ma talora dovendo ammettere che il loro metodo preferito non funziona e che quindi bisogna provarne altri… magari per salvare la vita stessa di quel cane.
Ed è per questo che non possono proprio sentire certe manfrine assolutistiche, che troppo spesso arrivano da persone in perfetta buona fede, certo: ma dovuta soltanto alla palese non-conoscenza del vero mondo cinofilo.
Perché “il cane” non esiste, esistono tanti cani; perché non esiste neppure “il proprietario”, ma ci sono tanti proprietari; perché non c’è solo il cane di famiglia, ma c’è quello sportivo, quello da lavoro e anche quello fancazzista.
Ci sono i cani tranquilli, quelli tosti e quelli iper-super-tosti; ci sono i cani facili e quelli molto, ma molto difficili; e ci sono perfino quelli “pericolosi”, non certo per razza né per loro scelta, ma perché le loro esperienze di vita li hanno portati a credere che mordendo e aggredendo si può ottenere tutto ciò che si vuole.
Soprattutto, ci sono cani frutto di una selezione talvolta millenaria, che vanno rispettati per ciò che SONO e non per come vorremmo che fossimo: e cercare di trasformarli in qualcos’altro è una vera barbarie.
Quello è il vero maltrattamento: altro che collare così o cosà.
Però queste sono tutte situazioni che bisogna vivere, per capirle: e il neo-diplomato non le ha quasi mai vissute, quindi iniziano i dialoghi tra sordi che spesso portano all’insulto, alla criminalizzazione di un’intera categoria, alla demonizzazione aprioristica di strumenti che magari si conoscono solo per sentito dire e così via.
Di solito, col tempo (sempre se si ha la fortuna di cominciare a lavorare davvero con i cani), la verità salta fuori. Dopodiché qualcuno improvvisamente si illumina e capisce quello che intendevano dire coloro che sono stati definiti maltrattatori (o peggio) solo perché hanno osato parlare di uno strumento “tabù” o perché, magari, hanno forzato un cane fobico a uscire dalla sua cuccia in canile (vedi l’articolo “Coercitivo? No, grazie!” pubblicato qualche giorno fa).
Qualcun altro rimane ancorato al suo piccolo mondo fatto di cani davvero “tutti uguali” (perché quelli diversi non li tratta proprio, li manda altrove, li lascia al loro destino), qualcun altro ancora si accorge che esistono altri mondi, ma rifiuta di accettarlo e continua con le sue guerre, non si sa se per convinzione, per convenzione o semplicemente per business.
Però, per favore, questi non me li chiamate “professionisti”: perché è un vero e proprio insulto a coloro che lo sono davvero.
Per concludere, avrei qualche domanda (sempre condita da vari calming signals…).
E cioé :
a) è moralmente e socialmente corretto illudere tanti giovani che potranno lavorare in cinofilia, ben sapendo che in realtà questo sarà un privilegio di pochi?
b) non sarebbe il caso di definire un po’ meglio la figura del “professionista”, accertandosi in qualche modo che un “diplomato” sia davvero in grado di affrontare la cinofilia come lavoro, prima di mandarlo allo sbaraglio?
c) invece di fare tante guerre di religione, non sarebbe il caso di mettersi tutti intorno a un tavolo e di decidere, una buona volta, chi ha davvero le competenze per fare cosa?
Questo giusto per iniziare… perché di domande ce ne sarebbero molte altre.
Ma andiamo pure per gradi: e se qualcuno ha qualche risposta da darmi, per favore, lo faccia.
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Valeria Rossi | 22 maggio 2013 | 0 Commenti | Stampa articolo
di VALERIA ROSSI – Una discussione nata da alcuni commenti in calce a un articolo mi spinge a tornare, per l’ennesima volta, sul tema degli scontri tra “scuole di pensiero” cinofile e in particolare sulla definizione di “professionista” della cinofilia.
Premessa: checché se ne dica, io non intendo litigare con nessuno! Non mi diverto a farlo, non avrei neanche voglia di farlo.
Però ritengo, come ho detto proprio in quei commenti, che il dovere di chi fa “giornalismo cinofilo” (ammesso e non concesso che esista, o che si possa definire così quello che faccio io), o comunque “opinionismo” cinofilo (che è indubbiamente quello che faccio io) sia quello di far conoscere anche al mondo dei non addetti ai lavori quello che succede davvero, e non quello di presentare un mondo idilliaco in cui tutti si vogliono bene e tutti coloro che sono iscritti ad una qualsiasi sigla seguono codici deontologici inappuntabili.
La guerra c’è, esiste, inutile negarlo. E quando c’è una guerra, chi fa – in un modo o nell’altro – informazione deve farlo sapere: non ci si può girare dall’altra parte. Occorrono spiegazioni e soprattutto soluzioni.
Per questo, ancora una volta, vorrei affrontare – il più pacificamente possibile – il tema centrale dello scontro, che ha come punto principale quello della cosiddetta “coercizione”, ovvero l’uso di metodi e strumenti che nel corso degli anni, grazie a una vera e propria campagna di demonizzazione, sono diventati sempre più invisi soprattutto agli occhi del neofita.
In seguito, le presunte “spiegazioni scientifiche” che hanno avallato questa tendenza (vedi il caso della presunta lista di danni da collare a strangolo diffusa dall’Asetra e poi divenuta una sorta di “bibbia” dei gentilisti, che ho già analizzato – e in gran parte smentito – in questo articolo) hanno fatto breccia nel mondo animalista, che a sua volta ha sfruttato il suo ben noto peso politico per ottenere ordinanze e restrizioni varie in alcuni Comuni italiani.
Un Paese dotato di una decente cultura cinofila non sarebbe mai arrivato a tanto, specie quando nello stesso Paese si evidenzia l’incapacità media della popolazione di gestire i cani: ma qui siamo arrivati al punto in cui si sta nuovamente pensando a partorire qualche “black list” per eliminare alcune razze canine… e contemporaneamente si vieta l’utilizzo dell’unico strumento che garantisce la sicurezza totale quando si tratta di gestire un cane impegnativo.
Cinofollia allo stato puro.
Ma lasciamo da parte queste polemiche che ormai escono dalle orecchie di tutti i cinofili (pur senza aver mai trovato uno straccio di soluzione) e proviamo ad affrontare un tema forse un po’ meno scontato, ma sicuramente più importante.
E cioè: chi, in cinofilia, può definirsi davvero “professionista”?
La risposta più corretta dal punto di vista legislativo, fiscale e quant’altro, è “nessuno”: per il semplice motivo che questa figura professionale non esiste. In realtà le professioni non regolamentate e prive di albi professionali hanno oggi una legge che le riguarda e alla quale bisognerà attenersi (Legge 14 gennaio 2013, n. 4, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 26 gennaio 2013, n. 22, e in vigore dal 10 febbraio scorso): ma ancora non siamo arrivati alla definizione di una regolamentazione specifica in ambito cinofilo.
La gente, dunque, crede (perché glielo lasciano credere) che per diventare “professionista” della cinofilia si debba seguire un corso (o più di uno) e ricevere il relativo diplomino: il che non è vero.
Neppure i corsi ENCI (unico Kennel Club italiano “ufficiale”, riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura) rilasciano veri “diplomi”: figuriamoci le altre – innumerevoli – sigle, talora legate a nomi “importanti” (per esempio il CONI), che di fatto però sono tutte associazioni private e autoreferenziali, che rilasciano attestati assolutamente privi di qualsiasi valore ufficiale.
Ma questa può essere una discussione riservata agli addetti ai lavori (o agli aspiranti tali), che ben poco interessa la Sciuramaria in cerca di qualcuno capace di aiutarla a superare i problemi del suo cane.
Alla Sciuramaria, invece, interessa sapere chi ha le competenze per fare cosa.
E qui casca non un solo asino, ma un intero branco di asini.
Perché, semplicemente… non si sa!
Ogni Ente, ogni Club, ogni Associazione – in questa allegra anarchia legislativa – decide in proprio quali sono i vari livelli e le varie qualifiche da attribuire ai suoi “diplomati” …e scusate se continuo ad usare le virgolette per questo termine, ma un diploma sarebbe, tecnicamente, un attestato rilasciato da un’autorità pubblica.
E in campo cinofilo, di autorità “realmente” pubbliche non vi è traccia.
L’ENCI è già “borderline”, trattandosi di Ente privato con un riconoscimento ministeriale: tutti gli altri sono privati al trecento per cento, con la parziale eccezione dall’APNEC che ha ottenuto a sua volta un riconoscimento ministeriale, e cioè l’inserimento nell’elenco delle “associazioni rappresentative a livello nazionale”, nonché la certificazione di qualità ISO 9001… che però, contrariamente a quanto molti credono, è un’altra certificazione assolutamente privata, rilasciata da un Ente privato (per quanto internazionale).
Dunque, lo ribadisco, di autorità pubbliche non si vede traccia e quindi di “diploma” non si potrebbe parlare.
Ma continuiamo pure a farlo per convenzione… e intanto andiamo oltre, e vediamo quale tipo di formazione offrono i vari corsi, senza fare distinzioni tra una sigla e l’altra.
La parte teorica, chi più e chi meno, la svolgono tutti in modo piuttosto approfondito: ovviamente ci saranno alcune discrepanze tra l’una e l’altra scuola, qualcuno avrà docenti più bravi e capaci di trasmettere il proprio sapere e qualcun altro un po’ meno, qualche corso durerà due settimane e qualcun altro due anni… ma una base teorica (sulla qualità della quale non intendo addentrarmi) la danno tutti.
E la pratica?
Qui, da quanto ho potuto vedere personalmente e soprattutto in base ai racconti di chi ha frequentato questi corsi, andiamo decisamente peggio.
In alcuni casi molto peggio.
Ci sono corsi che offrono un numero veramente esiguo di ore di “pratica” (50 ore, per esempio, per i corsi ENCI); ce ne sono altri per cui la “pratica” consiste nell’osservare l’esibizione di cinofili famosi e stimati; ci sono corsi da cui puoi uscire col tuo “diplomino” in tasca senza aver mai preso un cane al guinzaglio.
Ora, la domanda è: come possiamo aspettarci che queste persone inizino a lavorare “professionalmente” in campo cinofilo senza combinare pasticci inenarrabili?
E non è che cambi molto per le sigle/associazioni/gruppi che organizzano più corsi in “livelli” successivi (tipo: educatore, poi rieducatore, poi istruttore e così via): perché l’andazzo è sempre lo stesso.
Tanta teoria (via via più complessa) e sempre poca pratica. O pratica rivolta solo ad un settore della cinofilia (che può essere pet therapy, o agility, o protezione civile…ma è comunque sempre UNA singola specialità all’interno di un panorama cinofilo che ormai ne comprende una ventina, se non di più).
Ci sono scuole (continuo a non far nomi, ma se vi informate un po’ li scoprirete da soli) nelle quali il “diplomato” dell’anno precedente diventa docente nel corso successivo. Ma vi pare normale?
In alcuni casi, poi, le stesse distinzioni di “livello” appaiono quasi una presa in giro: per esempio, che differenza passa tra un educatore e un rieducatore?
Ehhhh… grandissima! dirà qualcuno.
L’educatore prende il cucciolo da zero e gli insegna a vivere bene nella nostra società, mentre il rieducatore prende un cucciolone o un adulto già “rovinato” da altri e lo deve rimettere in condizione di vivere bene nella nostra società.
Bene: se credete davvero che ci sia questa gran differenza, significa che con i cani non ci avete mai avuto a che fare.
Perché il lavoro è assolutamente identico e le cose da fare sono le stesse. Si deve spiegare al cane che le regole esistono e che vanno rispettate, e questo è tutto.
L’unica differenza sta nel fatto che, quando si “rieduca” un cane, bisogna riuscire a far capire ai proprietari cosa e come hanno sbagliato: ma per questo servirebbero corsi di psicologia umana, non di cinofilia.
Il caso davvero diverso è quello del cane mordace, o fobico: in questi casi, però, non si “rieduca” un bel nulla, ma si deve parlare di “terapia” comportamentale… che a volte viene affidata alla persona che ha fatto millemila corsi e che ha ottenuto qualche specifica qualifica (“istruttore”, “riabilitatore” o simili: non le conosco nemmeno tutte!), e in molti altri casi non viene neppure presa in considerazione. Cane e proprietario vengono direttamente spediti dal celeberrimo “veterinario comportamentalista” di cui, almeno oggi, non intendo proprio parlare… ma che – come risulta evidente dalla realtà dei fatti – moooolto spesso vede negli psicofarmaci l’unica soluzione possibile.
Sapete qual è la verità, a mio avviso (e invito chiunque a smentirmi, dati e fatti alla mano)?
E’ che da TUTTI i corsi cinofili escono persone che hanno una buona infarinatura di cinofilia. Punto.
Ma da qui a definirle “professioniste”, se permettete, ce ne passa.
Essere professionisti cinofili non significa conoscere a memoria il condizionamento classico e quello operante, sapere cos’è un arousal o una centripetazione. Significa saper prendere in mano un cane, saperlo “leggere”, capire di che cosa ha bisogno e saperglielo dare (e anche avere l’umiltà di passare la palla a qualcun altro, qualora ci si renda conto di non essere in grado di darglielo).
Invece, purtroppo, mi succede continuamente di vedere persone che hanno fatto il corso da educatore e che non sanno tenere in mano un guinzaglio.
Lo tiene meglio la Sciuramaria, che “va a orecchio”, è istintiva, non ha basi di nessun tipo… ma a volte – magari per puro caso – ci azzecca. Guarda il suo cane, cerca di entrare in sintonia con lui, si sfroza di leggere i suoi messaggi ed è anche capace di discriminare quelli importanti da quelli che non contano nulla.
L’educatore, invece, mi ricorda spesso il ragazzo che ha appena preso la patente, così impegnato a pensare “ecco, adesso devo schiacciare la frizione, poi mettere la marcia, poi mollare l’acceleratore…”, che magari non si accorge del pedone che sta per mettere sotto. Perché non ha gli automatismi, la capacità di discernere, la prontezza che arrivano solo dall’esperienza pratica.
Ai seminari che ho tenuto con Claudio Mangini e i cani tutor ho incontrato, per esempio, educatori che hanno completamente perso di vista il lavoro che si stava facendo sul cane (magari un cane aggressivo o fobico, che in pochi minuti recuperava serenità) solo perché si sono fissate sulla singola leccatina di naso, o sullo sbadiglio, subito interpretati come “segnali di stress, oddio!”.
E ovviamente ci sono stati anche quelli che vedendo apparire un guinzaglio da retriever hanno gridato allo scandalo (“oddio, un collare a strangoloooo!”) senza capire che, con strumenti diversi, si sarebbe potuta rischiare la vita del cane paziente o quella del cane tutor… o magari l’incolumità dell’operatore.
Ho visto, insomma, molta, molta, ma MOLTA inesperienza, condita a volte (ma non sempre) da eccessi di “saputellismo”, altre volte da preconcetti e dogmi vari… ma quasi sempre da pochissima capacità di muoversi in sintonia con un cane.
Cosa che invece si vede spesso in persone che se gli parli di Skinner ti dicono “CHIIII?!?!?”… ma che sono da trent’anni in mezzo ai campi a smazzarsi con i cani.
Certo, questi ultimi mancheranno di basi scientifiche: a volte, diciamolo, mancano perfino della capacità di esprimersi in un italiano comprensibile.
Però, se gli dai in mano un cane problematico, te lo sistemano. E non è assolutamente detto che lo facciano con metodi brutali o anche semplicemente “coercitivi”.
I cosiddetti cinofili “moderni”, invece (quelli che dicono “il futuro siamo noi e voi non siete un c…”)… a sentirli parlare sembrano libri stampati: ma poi capita che gli arrivi in mano un cucciolo normalissimo e che siano proprio loro, a forza di volerci applicare per forza sopra le teorie che hanno imparato sui libri, a farlo diventare problematico.
Educatori? Rieducatori? Istruttori? Professori?
Ma cosa importa! Questi, prima di appiccicarsi addosso una qualsiasi etichetta, dovrebbero diventare competenti in materia cinofila.
Ma la competenza non si compra tanto al chilo, purtroppo: si acquisisce col tempo, con l’esperienza, andando per prove ed errori. Errori che saranno sicuramente meno frequenti se hai anche una buona preparazione teorica, ma che sono comunque inevitabili – e forse addirittura indispensabili – se vuoi diventare davvero un professionista.
Un illustre cinofilo mi disse un giorno che il cane dovevo lasciarlo sbagliare; anzi, se non sbagliava dovevo indurlo io stessa a sbagliare, perché altrimenti non avrebbe mai capito cosa doveva e cosa non doveva fare.
La teoria potrà essere discutibile per quanto riguarda i cani, ma è sicuramente valida per le persone: se non sbatti qualche volta il naso, bravo non ci diventi.
Il grave errore di fondo della cinofilia cosiddetta “moderna” è quello di voler definire “professionisti” persone che ancora non hanno idea di cosa sia un cane reale e non teorico.
E’ quello di voler dare qualifiche a gente che potrebbe avere, al massimo, quella di “neofita informato”: che sta, però, al primissimo gradino di una lunga scala ancora tutta da percorrere.
Qualcuno lo spiega ai suoi allievi, a fine corso: glielo dice, che in pratica non sanno ancora una beatissima cippa.
E queste persone io le rispetto.
Rispetto molto meno, al di là di sigle e nomi, coloro che:
a) mentono sapendo di mentire, approfittando della drammatica fame di lavoro che c’è in questo momento storico e promettendo un lavoro sicuro – e professionale – a persone che potrebbero al massimo ambire alla qualifica di aiuto apprendista (e questo, fino a prova contraria, è anche un problema sociale, non soltanto cinofilo);
b) fanno credere ai loro “diplomati” di essere pronti a lanciarsi sul mercato, mettendone così a rischio l’immagine, i risultati e a volte la stessa incolumità fisica… perché chi crede di “sapere tutto” non si ferma davanti a niente.
Solo pochi giorni fa, nel corso dell’ennesimo scanno su Facebook, una persona ha dichiarato di occuparsi, in canile, di riabilitazioni che (parole sue) “non potrebbe neppure fare, perché ha solo la qualifica di educatore“. Ma le fa lo stesso, perché “altrimenti quei cani chissà dove andrebbero a finire“.
Beata incoscienza… ma forse neanche troppo “beata”, visti i rischi che corrono sia la persona stessa, sia i cani (vi immaginate un soggetto gravemente problematico in mano a qualcuno che non sa quello che sta facendo? A me vengono i brividi).
La conoscenza e la professionalità si sviluppano nel tempo, questo è innegabile: ma si sviluppano lavorando con i cani, non pagando millemila corsi sempre più costosi (per dare forse l’impressione di diventare via via “più importanti”). Si sviluppano lavorando fianco a fianco con i più bravi e più esperti, che possono spiegarti cosa e come fare.
Le competenze si acquisiscono vedendo oggi il cucciolo di border che tira al guinzaglio, ma domani, magari, il molosso che si è mangiato il proprietario: e prendendoli entrambi al guinzaglio, mettendosi in gioco, provando a combinare qualcosa di buono. Anche inventando, se non ti sorreggono le conoscenze che hai.
E se proprio hai paura di far danni, prendi il tuo cagnone e vai sul campo di chi ne sa più di te, ti metti lì e guardi come lavora.
E’ così che si cresce: non certo spedendo il cane difficile al comportamentalista che lo riempie di prozac.
Insomma: la teoria è importante, la pratica è importante: ma la seconda senza la prima può anche portare a qualche risultato, mentre il contrario non esiste proprio. E invece è quello che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi.
Per anni, anzi per secoli, c’è stata in campo cinofilo una “selezione naturale” che, tra l’altro, permetteva a chi si rendeva conto di non sentirsela (magari perché aveva paura) di mollare il colpo e di mettersi a fare qualcos’altro: invece oggi si vedono – e ne ho visti personalmente parecchi – “educatori” e perfino “rieducatori”, con tanto di relativo diploma, che HANNO PAURA DEI CANI!
Un tempo, in cinofilia, ci rimaneva solo chi aveva cuore, passione e arte: doti senza le quali non vai da nessuna parte, almeno in questo campo.
Purtroppo, oggi, rimangono tutti.
Un po’ perché non sanno che altro fare, visto che di lavoro non ce n’è; un po’ perché in questo sogno hanno investito una marea di soldi e non riescono a digerire l’idea di averli buttati dalla finestra. Però si ritrovano con dei limiti immensi che fanno danni gravissimi a cani e persone stesse.
D’altro canto, anche gli addestratori “vecchio stile” a volte fanno danni gravissimi: perché svariati di essi sono rimasti legati alla visione antiquata e sorpassata del cane da va sottomesso, che va schiacciato, che deve obbedire per forza…o “con” la forza.
I macellai, l’ho detto mille volte ma lo ripeto ancora, esistono: altroché se esistono.
Ma quelli, forse, non si potranno mai eliminare, se non denunciandoli e mandandoli in galera per maltrattamento.
Però esistono anche “le vie di mezzo”: ovvero quelli che io chiamo addestratori etici. Persone che hanno le conoscenze teoriche ma anche l’esperienza pratica; che sono sommamente rispettosi del cane e fermamente intenzionati ad essere il più possibile gentili (non “gentilisti”, magari, ma gentili sì)… almeno fino a quando è possibile.
Solo che, trattandosi di persone che hanno esperienza “vissuta”, che hanno visto davvero centinaia di cani di ogni tipo (e non solo frugoletti da compagnia, ma anche cani così tosti che i moderni “educatori” non ne concepiscono neppure l’esistenza), sanno benissimo che con certi cani e in certe circostanze non si possono fare distinzioni aprioristiche tra ciò che è “buono” e ciò che è “cattivo”, ma si devono adattare metodi e strumenti ai singoli casi (e saperlo fare è indice di quella che ritengo l’unica, vera professionalità), sempre con rispetto e sempre tenendo in primissimo piano il benessere del cane, ma talora dovendo ammettere che il loro metodo preferito non funziona e che quindi bisogna provarne altri… magari per salvare la vita stessa di quel cane.
Ed è per questo che non possono proprio sentire certe manfrine assolutistiche, che troppo spesso arrivano da persone in perfetta buona fede, certo: ma dovuta soltanto alla palese non-conoscenza del vero mondo cinofilo.
Perché “il cane” non esiste, esistono tanti cani; perché non esiste neppure “il proprietario”, ma ci sono tanti proprietari; perché non c’è solo il cane di famiglia, ma c’è quello sportivo, quello da lavoro e anche quello fancazzista.
Ci sono i cani tranquilli, quelli tosti e quelli iper-super-tosti; ci sono i cani facili e quelli molto, ma molto difficili; e ci sono perfino quelli “pericolosi”, non certo per razza né per loro scelta, ma perché le loro esperienze di vita li hanno portati a credere che mordendo e aggredendo si può ottenere tutto ciò che si vuole.
Soprattutto, ci sono cani frutto di una selezione talvolta millenaria, che vanno rispettati per ciò che SONO e non per come vorremmo che fossimo: e cercare di trasformarli in qualcos’altro è una vera barbarie.
Quello è il vero maltrattamento: altro che collare così o cosà.
Però queste sono tutte situazioni che bisogna vivere, per capirle: e il neo-diplomato non le ha quasi mai vissute, quindi iniziano i dialoghi tra sordi che spesso portano all’insulto, alla criminalizzazione di un’intera categoria, alla demonizzazione aprioristica di strumenti che magari si conoscono solo per sentito dire e così via.
Di solito, col tempo (sempre se si ha la fortuna di cominciare a lavorare davvero con i cani), la verità salta fuori. Dopodiché qualcuno improvvisamente si illumina e capisce quello che intendevano dire coloro che sono stati definiti maltrattatori (o peggio) solo perché hanno osato parlare di uno strumento “tabù” o perché, magari, hanno forzato un cane fobico a uscire dalla sua cuccia in canile (vedi l’articolo “Coercitivo? No, grazie!” pubblicato qualche giorno fa).
Qualcun altro rimane ancorato al suo piccolo mondo fatto di cani davvero “tutti uguali” (perché quelli diversi non li tratta proprio, li manda altrove, li lascia al loro destino), qualcun altro ancora si accorge che esistono altri mondi, ma rifiuta di accettarlo e continua con le sue guerre, non si sa se per convinzione, per convenzione o semplicemente per business.
Però, per favore, questi non me li chiamate “professionisti”: perché è un vero e proprio insulto a coloro che lo sono davvero.
Per concludere, avrei qualche domanda (sempre condita da vari calming signals…).
E cioé :
a) è moralmente e socialmente corretto illudere tanti giovani che potranno lavorare in cinofilia, ben sapendo che in realtà questo sarà un privilegio di pochi?
b) non sarebbe il caso di definire un po’ meglio la figura del “professionista”, accertandosi in qualche modo che un “diplomato” sia davvero in grado di affrontare la cinofilia come lavoro, prima di mandarlo allo sbaraglio?
c) invece di fare tante guerre di religione, non sarebbe il caso di mettersi tutti intorno a un tavolo e di decidere, una buona volta, chi ha davvero le competenze per fare cosa?
Questo giusto per iniziare… perché di domande ce ne sarebbero molte altre.
Ma andiamo pure per gradi: e se qualcuno ha qualche risposta da darmi, per favore, lo faccia.
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Stoppa & C. presi a pugni e calci: qualche considerazione sul servizio di “Striscia”
Stoppa & C. presi a pugni e calci: qualche considerazione sul servizio di “Striscia”
Valeria Rossi | 22 maggio 2013 | 0 Commenti | Stampa articolo
di VALERIA ROSSI – Non l’avevo visto quando è andato in onda (non guardo Striscia né altre sedicenti “TV d’inchiesta”, visto che le inchieste giornalistiche a casa mia sono un’altra cosa); non l’ho guardato neppure quando mi è stato detto che demonizzava la “mia” disciplina, ovvero l’Utilità e Difesa (perché farsi venire il mal di fegato inutilmente? Tanto ormai il danno è fatto…).
Alla fine l’ho guardato, spinta da diversi amici che mi chiedevano un commento, ma l’ho giudicato “incommentabile”. Trascrivo qui quello che ho scritto ieri su Facebook, parola per parola:
Alla fine l’ho guardato. Ma non è commentabile. E’ tutto un dire-non-dire, lasciar intuire e buttar lì una mezza frase… certamente hanno attaccato (per l’ennesima volta) il lavoro dei cani e degli addestratori di UD, ma in modo subdolo (come tutte le loro azioni), senza porgere il fianco a possibili critiche che non sappiano di coda di paglia.
Peraltro il tipo che si è fatto le sue ragioni a pugni e calci è indifendibile: non riesco a capire come abbia potuto farlo con i carabinieri lì presenti che sono stati a guardare per un bel po’ prima di intervenire (‘sta cosa mi suona fasullissima, non so se vi ha dato la stessa impressione)… però l’ha fatto, e la figura è pessima.
Non mi va proprio di mettermi a difendere gente di tal fatta… che tra l’altro racconta pure balle e poi si fa beccare col collare elettrico in saccoccia. E andiamo! O il servizio è tutto costruito (e non mi stupirebbe, ma non ho prove per dire che lo sia), oppure il primo a fare un pessimo servizio all’UD è stato indubbiamente il sedicente addestratore.
E questo sarebbe stato proprio tutto… se in seguito non avessi letto le due successive repliche della SAS, firmate dal Presidente Luciano Musolino, sul sito della Società stessa.
Ecco, queste sì che mi hanno fatto saltare la mosca al naso: perché sono un vero capolavoro di perbenismo decisamente lontano dalla realtà dei fatti.
Nel primo comunicato, in realtà, Musolino si limita a condannare l’episodio e ad esprimere solidarietà a Stoppa e a suoi collaboratori: il che va benissimo, per carità. Non spende, però, una sola parola in difesa dell’UD e delle persone serie che la praticano… il che va un po’ meno bene, visto che tutta la displina è stata attaccata globalmente e senza distinzioni dal servizio.
Quando è apparso il secondo comunicato, ovviamente, ho sperato che il Presidente avesse deciso di aggiungere tutto ciò che aveva dimenticato nel primo, chiarendo magari che l’UD non è una disciplina che prevede torture e che non è praticata solo da gente come quella… invece no.
Musolino si lancia in un’accorata difesa, sì… ma della Società Amatori Schäferhunde (che, se non ricordo male, è stata appena nominata, giusto per dire che la troupe di Striscia si trovava su un campo SAS).
Ci mette pure un paio di tesi complottistiche (“fa ancor più male vedere e sentire gli sciacalli che si gettano su questa incresciosa vicenda solo per poter screditare la SAS e trarne visibilità personale, considerato che non riescono ad averne in cinofilia“. E più sotto: “Permettetemi infine un cattivo pensiero, è strano che a poche settimane da una delibera SAS riferita a soci ed associazioni che potrebbero danneggiare l’immagine della Società che si occupa di tutelare la razza vengano denunciati a Striscia la Notizia comportamenti senza che mai ci fosse stata neanche una segnalazione alla SAS che ignorava assolutamente quanto accadeva in quella sezione“)…ma in difesa della disciplina, pur essendo essa quella di elezione per il pastore tedesco, neanche un “ba”.
Ancora una volta, per carità… ci sta: Musolino è il Presidente della SAS e non dell’UD. Però due parole poteva pure spenderle, anche perché, stavolta, la disciplina era difendibilissima.
Tanto per cominciare, nel servizio non si è visto né sentito assolutamente NULLA che facesse pensare ad un possibile maltrattamento di cani.
Tutta la pantomima del “lavoro notturno” che sarebbe stato tale in quanto “segreto”, da non far vedere a nessuno, va ben oltre il limite del ridicolo: anche sul mio campo, in settimana, si è sempre lavorato di sera, per un motivo molto semplice: la gente, di giorno, lavora! Che strano, eh? Davvero una cosa di cui vergognarsi!
D’altro canto, cosa può saperne il buon Edoardo di cinofilia e di campi cinofili?
La sua biografia è molto esplicativa: “Laureato in psicologia all’Università di Padova, si è dedicato allo studio di recitazione con Lino Damiani. Pratica diversi sport tra cui paracadutismo, snowboard e arti marziali“.
Quando si sarebbe occupato di animali, questo signore? Cosa ne sa, di animali?
L’unica parte del suo curriculum che li richiama è la conduzione di una trasmissione che si intitolava “Music zoo”. Peccato che fosse, appunto, una trasmissione musicale e niente più!
Sarà sicuramente in buona fede, sarà anche animalista (o intepreterà bene la parte, chissà…): ma di sicuro non è un cinofilo né uno zootecnico.
Dunque, tanto per cominciare, Stoppa non è in grado di capire se, come e perché ci siano dei maltrattamenti su un campo cinofilo: e infatti scambia addirittura per “guaiti di dolore” i normalissimi abbai di eccitazione che si sentono in qualsiasi sessione di attacchi (i cani sono entusiasti e quindi mugolano, abbaiano, fanno versi di ogni tipo… ma questo non ci dice certo che siano stati maltrattati. In realtà, di solito, sono felici come Pasque).
Il precedente servizio di Striscia sul collare elettrico (che risale ormai al lontano 2004) mostrava proprio un cane letteralmente torturato con questo strumento: ma quello di stavolta non mostra un bel nulla, se non un energumeno che aggredisce gli operatori a calci e cazzotti (e che, ripeto, dà una pessima immagine del mondo cinofilo a chiunque lo veda in azione. Quindi gli invio il mio più cordiale vaffa).
Dove stanno i maltrattamenti?
E’ stato trovato un collare elettrico in una macchina: anche un collare a punte.
E allora?
Mettiamocelo in testa una buona volta: questi strumenti NON sono vietati in Italia. C’era stata un’ordinanza contro il collare elettrico, ma i produttori hanno fatto ricorso al TAR e hanno vinto (della qual cosa mi dispiaccio assai, perché detesto questo strumento. Se è per questo mi sta antipatico pure il TAR, da quando ha dato motivazioni e dir poco fantascientifiche per bocciare il ricorso che avevo fatto, insieme alla mia associazione di allora, contro le “liste nere” dell’ordinanza Sirchia: però la legge è legge e va rispettata. E le decisioni delle istituzioni, pure).
Dunque, avere questi collari in macchina è del tutto legale e nessuno può farti niente neppure se te ne porti dietro una cesta piena. Diventa illegale l’uso – eventuale – che se ne fa, quando si vede un palese maltrattamento del cane sul quale vengono utilizzati: ma qui non si è visto nulla di simile.
Quindi?
Quindi, se non ci fosse stata l’aggressione, i soci SAS “pizzicati” quella sera avrebbero potuto rispondere, in tutta tranquillità: “Sì, ho un collare elettrico in macchina. EMBE’?”… e la troupe di Striscia sarebbe tornata a casa con la coda tra le gambe.
Così come sarebbero tornati a casa i NAS, di cui qualcuno ha detto che “stavano facendo un’ispezione su quel campo”, cosa che non risulta assolutamente dal servizio.
I Carabinieri sono stati chiamati da Stoppa & C. dopo l’aggressione, perché prima non c’erano assolutamente (e per quello a cui son serviti, visto che il cameraman è stato preso a calcioni in pancia sotto i loro occhi, potevano anche starsene dov’erano. Possibile, mi chiedo ancora una volta, che dei carabinieri assistano sereni e beati a insulti, spintoni eccetera senza intervenire? Mah).
Luciano Musolino
Comunque, tornando a Musolino… ci sono due punti del suo comunicato che mi lasciano assai perplessa: il primo è quello in cui sostiene che “la SAS ha sempre dichiarato e deliberato la condanna dell’uso di metodi di addestramento che prevedessero strumenti non rispettosi del benessere psicofisico dei cani“.
Aggiunge anche che la Società avrebbe “chiarito ad ogni livello la propria posizione contraria all’uso di metodi di addestramento che prevedessero collari elettrici e collari a punte“, quindi non dovrebbero esserci dubbi su quali siano questi “strumenti non rispettosi”.
Peccato che questi strumenti vengano usati quotidianamente su molti – per non dire moltissimi – campi (SAS e non SAS), come può tranquillamente vedere chiunque bazzichi un po’ questo mondo.
C’è chi li usa in modo brutale (fortunatamente molto pochi, almeno a quanto mi risulta… poi può darsi che altri lo facciano davvero “di notte e in segreto”, ma in quel caso non si fanno certo vedere da me) e chi li usa in modo più “soft”, senza fare alcuna apparente violenza sul cane (insomma, non si sente il minimo CAIN!): però che si usino è fuori discussione e al di là di ogni ragionevole dubbio.
Possibile che il Presidente della più grande, numerosa e rappresentativa associazione di razza italiana caschi dal pero?
Che non ne abbia mai saputo nulla?
E i signori Agatino Corvaia (responsabile incaricato del settore addestramento) e Massimo Floris (delegato), sono altrettanto ingenui?
Più che altro dovrebbero essere ciechi, temo, se non si fossero mai accorti che gli strumenti “incriminati” si possono trovare su moltissimi campi cinofili. Quindi, delle due l’una: o la SAS non controlla minimamente quello che fanno i suoi Soci, oppure è piuttosto permissiva sulle interpretazioni delle sue linee guida.
In nessuno dei due casi mi sembra che facciano una gran figura, come emerge anche dall’intelligente critica pubblicata su “Da Hector a Rex”, web magazine dedicato proprio al pastore tedesco. Se volete capire meglio, leggetela (e magari inorridite anche un po’).
Augurandomi, quindi, che la SAS si muova al più presto per effettuare controlli su tutti i campi affiliati e non solo sul capro espiatorio di turno, facendo un mazzo così a tutti coloro che avessero in casa strumenti “non rispettosi del cane” … due parole in difesa dell’UD vorrei sprecarle io.
E sono queste:
a) NON è assolutamente vero che i cani da UD vengano regolarmente malmenati. Succede sui campi “macellai” (che però sono presenti in qualsiasi disciplina cinofila), ma l’utilizzo di metodi violenti e brutali è, grazie al cielo, riferibile a pochi personaggi che, fosse per me, dovrebbero finire dritti in galera.
Però sono POCHI, appunto: tutto il resto di questo mondo è formato da appassionati che adorano i propri cani e che sarebbero i primi a menar le mani (nel qual caso personalmente applaudirei…) se qualcuno osasse fare del male ai loro beniamini;
b) l’utilizzo di “fruste e bastoni”, come ben sa chiunque conosca la disciplina e come evidentemente ignora Stoppa, che nulla sa di cani né di sport cinofili, è solo “scenografico” e serve esclusivamente a testare le qualità naturali.
La frusta non viene MAI usata per colpire il cane, ma solo per aumentarne l’eccitazione; il bastone – anche in gara – viene usato due volte per colpire punti non sensibili del cane e valutarne la tempra… ma si tratta di un bastone imbottito, quindi morbido, che non fa alcun male all’animale (che infatti non fa una piega: o pensate che i cani, liberi di scegliere perché durante gli attacchi sono slegati da qualsiasi guinzaglio, starebbero lì a farsi “torturare” e non mollerebbero subito la manica per andarsene altrove?).
c) il fatto che si utilizzino strumenti come fruste e bastoni (nel modo sopra indicato) ha una motivazione molto seria: e cioè il fatto che il cani da UD sono gli stessi identici cani (perlomeno, si tratta delle stesse linee di sangue e degli stessi riproduttori) che poi affiancano le Forze dell’Ordine nei loro compiti di pubblica utilità. E’ evidente che non sarebbe mai possibile utilizzare cani che non fossero forniti delle giuste doti caratteriali, comprensive di combattività, temperamento, tempra e di tutto ciò che si valuta, appunto, durante le prove sportive. Che non si fanno “per vincere la coppetta”, ma per identificare i riproduttori che possono migliorare la razza (e non solo per ottenere soggetti adatti al lavoro di polizia: gli stessi cani guida per non vedenti, anche se la cosa non è molto risaputa, devono soggiacere a un addestramento particolarmente duro – d’altronde questi cani non possono sbagliare – e quindi servono doti caratteriali spiccatissime).
d) se è vero che ai vertici delle classifiche mondiali talora (anzi, diciamo pure “spesso”) troviamo cani addestrati con metodi non condivisibili (perlomeno, non da me) – ma questa è colpa soprattutto dell’FCI e di regolamenti che stanno chiedendo sempre di più, costringendo allevatori e addestratori a “spingere” anche troppo - è anche vero che il 99% delle persone che praticano questa disciplina lo fanno per divertirsi insieme al loro cane (nel senso che si divertono entrambi), con immensa passione e soprattutto con immenso amore.
Far pensare al grande pubblico che siano tutti dei maltrattatori di cani è una vera infamia, oltre ad essere di una falsità inaudita: quindi, se è giusto chiedere scusa a Stoppa & C. per le botte che hanno subito (e che nessun cinofilo civile, anzi nessuna persona civile può esimersi dal condannare con forza), è anche vero che Stoppa & C. dovrebbero chiedere scusa a loro volta per la pessima immagine, distorta e fuorviante, che hanno dato di uno sport bellissimo in cui i cani – salvo i casi visti sopra, che andrebbero severamente puniti – si divertono come pazzi.
Direi che non ho altro da aggiungere… se non che i risultati della campagna diffamatoria, purtroppo, si vedono già. Racconta una ragazza su FB: “Passeggiando con il mio dobermann incontro una signora che ci conosce benissimo, con mini cane. All’improvviso fa uno scatto e lo raccoglie da terra. Sbigottita le chiedo come mai, visto che hanno sempre giocato assieme, ed ecco la risposta che mi fa cadere letteralmente le braccia a terra: “Eh ma ho visto a Striscia che i cani che vengono addestrati come la sua (!!!!!!!!!!!) diventano cattivi e mordaci a furia di botte!! Non mi fido più…”
Ecco, queste sono le conseguenze dei servizi scandalistici stile “sbatti il mostro in prima pagina”.
Per questo vorrei tanto che Stoppa, Ricci e tutti coloro che si occupano di Striscia chiedessero davvero scusa a questa ragazza…e al suo cane.
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Valeria Rossi | 22 maggio 2013 | 0 Commenti | Stampa articolo
di VALERIA ROSSI – Non l’avevo visto quando è andato in onda (non guardo Striscia né altre sedicenti “TV d’inchiesta”, visto che le inchieste giornalistiche a casa mia sono un’altra cosa); non l’ho guardato neppure quando mi è stato detto che demonizzava la “mia” disciplina, ovvero l’Utilità e Difesa (perché farsi venire il mal di fegato inutilmente? Tanto ormai il danno è fatto…).
Alla fine l’ho guardato, spinta da diversi amici che mi chiedevano un commento, ma l’ho giudicato “incommentabile”. Trascrivo qui quello che ho scritto ieri su Facebook, parola per parola:
Alla fine l’ho guardato. Ma non è commentabile. E’ tutto un dire-non-dire, lasciar intuire e buttar lì una mezza frase… certamente hanno attaccato (per l’ennesima volta) il lavoro dei cani e degli addestratori di UD, ma in modo subdolo (come tutte le loro azioni), senza porgere il fianco a possibili critiche che non sappiano di coda di paglia.
Peraltro il tipo che si è fatto le sue ragioni a pugni e calci è indifendibile: non riesco a capire come abbia potuto farlo con i carabinieri lì presenti che sono stati a guardare per un bel po’ prima di intervenire (‘sta cosa mi suona fasullissima, non so se vi ha dato la stessa impressione)… però l’ha fatto, e la figura è pessima.
Non mi va proprio di mettermi a difendere gente di tal fatta… che tra l’altro racconta pure balle e poi si fa beccare col collare elettrico in saccoccia. E andiamo! O il servizio è tutto costruito (e non mi stupirebbe, ma non ho prove per dire che lo sia), oppure il primo a fare un pessimo servizio all’UD è stato indubbiamente il sedicente addestratore.
E questo sarebbe stato proprio tutto… se in seguito non avessi letto le due successive repliche della SAS, firmate dal Presidente Luciano Musolino, sul sito della Società stessa.
Ecco, queste sì che mi hanno fatto saltare la mosca al naso: perché sono un vero capolavoro di perbenismo decisamente lontano dalla realtà dei fatti.
Nel primo comunicato, in realtà, Musolino si limita a condannare l’episodio e ad esprimere solidarietà a Stoppa e a suoi collaboratori: il che va benissimo, per carità. Non spende, però, una sola parola in difesa dell’UD e delle persone serie che la praticano… il che va un po’ meno bene, visto che tutta la displina è stata attaccata globalmente e senza distinzioni dal servizio.
Quando è apparso il secondo comunicato, ovviamente, ho sperato che il Presidente avesse deciso di aggiungere tutto ciò che aveva dimenticato nel primo, chiarendo magari che l’UD non è una disciplina che prevede torture e che non è praticata solo da gente come quella… invece no.
Musolino si lancia in un’accorata difesa, sì… ma della Società Amatori Schäferhunde (che, se non ricordo male, è stata appena nominata, giusto per dire che la troupe di Striscia si trovava su un campo SAS).
Ci mette pure un paio di tesi complottistiche (“fa ancor più male vedere e sentire gli sciacalli che si gettano su questa incresciosa vicenda solo per poter screditare la SAS e trarne visibilità personale, considerato che non riescono ad averne in cinofilia“. E più sotto: “Permettetemi infine un cattivo pensiero, è strano che a poche settimane da una delibera SAS riferita a soci ed associazioni che potrebbero danneggiare l’immagine della Società che si occupa di tutelare la razza vengano denunciati a Striscia la Notizia comportamenti senza che mai ci fosse stata neanche una segnalazione alla SAS che ignorava assolutamente quanto accadeva in quella sezione“)…ma in difesa della disciplina, pur essendo essa quella di elezione per il pastore tedesco, neanche un “ba”.
Ancora una volta, per carità… ci sta: Musolino è il Presidente della SAS e non dell’UD. Però due parole poteva pure spenderle, anche perché, stavolta, la disciplina era difendibilissima.
Tanto per cominciare, nel servizio non si è visto né sentito assolutamente NULLA che facesse pensare ad un possibile maltrattamento di cani.
Tutta la pantomima del “lavoro notturno” che sarebbe stato tale in quanto “segreto”, da non far vedere a nessuno, va ben oltre il limite del ridicolo: anche sul mio campo, in settimana, si è sempre lavorato di sera, per un motivo molto semplice: la gente, di giorno, lavora! Che strano, eh? Davvero una cosa di cui vergognarsi!
D’altro canto, cosa può saperne il buon Edoardo di cinofilia e di campi cinofili?
La sua biografia è molto esplicativa: “Laureato in psicologia all’Università di Padova, si è dedicato allo studio di recitazione con Lino Damiani. Pratica diversi sport tra cui paracadutismo, snowboard e arti marziali“.
Quando si sarebbe occupato di animali, questo signore? Cosa ne sa, di animali?
L’unica parte del suo curriculum che li richiama è la conduzione di una trasmissione che si intitolava “Music zoo”. Peccato che fosse, appunto, una trasmissione musicale e niente più!
Sarà sicuramente in buona fede, sarà anche animalista (o intepreterà bene la parte, chissà…): ma di sicuro non è un cinofilo né uno zootecnico.
Dunque, tanto per cominciare, Stoppa non è in grado di capire se, come e perché ci siano dei maltrattamenti su un campo cinofilo: e infatti scambia addirittura per “guaiti di dolore” i normalissimi abbai di eccitazione che si sentono in qualsiasi sessione di attacchi (i cani sono entusiasti e quindi mugolano, abbaiano, fanno versi di ogni tipo… ma questo non ci dice certo che siano stati maltrattati. In realtà, di solito, sono felici come Pasque).
Il precedente servizio di Striscia sul collare elettrico (che risale ormai al lontano 2004) mostrava proprio un cane letteralmente torturato con questo strumento: ma quello di stavolta non mostra un bel nulla, se non un energumeno che aggredisce gli operatori a calci e cazzotti (e che, ripeto, dà una pessima immagine del mondo cinofilo a chiunque lo veda in azione. Quindi gli invio il mio più cordiale vaffa).
Dove stanno i maltrattamenti?
E’ stato trovato un collare elettrico in una macchina: anche un collare a punte.
E allora?
Mettiamocelo in testa una buona volta: questi strumenti NON sono vietati in Italia. C’era stata un’ordinanza contro il collare elettrico, ma i produttori hanno fatto ricorso al TAR e hanno vinto (della qual cosa mi dispiaccio assai, perché detesto questo strumento. Se è per questo mi sta antipatico pure il TAR, da quando ha dato motivazioni e dir poco fantascientifiche per bocciare il ricorso che avevo fatto, insieme alla mia associazione di allora, contro le “liste nere” dell’ordinanza Sirchia: però la legge è legge e va rispettata. E le decisioni delle istituzioni, pure).
Dunque, avere questi collari in macchina è del tutto legale e nessuno può farti niente neppure se te ne porti dietro una cesta piena. Diventa illegale l’uso – eventuale – che se ne fa, quando si vede un palese maltrattamento del cane sul quale vengono utilizzati: ma qui non si è visto nulla di simile.
Quindi?
Quindi, se non ci fosse stata l’aggressione, i soci SAS “pizzicati” quella sera avrebbero potuto rispondere, in tutta tranquillità: “Sì, ho un collare elettrico in macchina. EMBE’?”… e la troupe di Striscia sarebbe tornata a casa con la coda tra le gambe.
Così come sarebbero tornati a casa i NAS, di cui qualcuno ha detto che “stavano facendo un’ispezione su quel campo”, cosa che non risulta assolutamente dal servizio.
I Carabinieri sono stati chiamati da Stoppa & C. dopo l’aggressione, perché prima non c’erano assolutamente (e per quello a cui son serviti, visto che il cameraman è stato preso a calcioni in pancia sotto i loro occhi, potevano anche starsene dov’erano. Possibile, mi chiedo ancora una volta, che dei carabinieri assistano sereni e beati a insulti, spintoni eccetera senza intervenire? Mah).
Luciano Musolino
Comunque, tornando a Musolino… ci sono due punti del suo comunicato che mi lasciano assai perplessa: il primo è quello in cui sostiene che “la SAS ha sempre dichiarato e deliberato la condanna dell’uso di metodi di addestramento che prevedessero strumenti non rispettosi del benessere psicofisico dei cani“.
Aggiunge anche che la Società avrebbe “chiarito ad ogni livello la propria posizione contraria all’uso di metodi di addestramento che prevedessero collari elettrici e collari a punte“, quindi non dovrebbero esserci dubbi su quali siano questi “strumenti non rispettosi”.
Peccato che questi strumenti vengano usati quotidianamente su molti – per non dire moltissimi – campi (SAS e non SAS), come può tranquillamente vedere chiunque bazzichi un po’ questo mondo.
C’è chi li usa in modo brutale (fortunatamente molto pochi, almeno a quanto mi risulta… poi può darsi che altri lo facciano davvero “di notte e in segreto”, ma in quel caso non si fanno certo vedere da me) e chi li usa in modo più “soft”, senza fare alcuna apparente violenza sul cane (insomma, non si sente il minimo CAIN!): però che si usino è fuori discussione e al di là di ogni ragionevole dubbio.
Possibile che il Presidente della più grande, numerosa e rappresentativa associazione di razza italiana caschi dal pero?
Che non ne abbia mai saputo nulla?
E i signori Agatino Corvaia (responsabile incaricato del settore addestramento) e Massimo Floris (delegato), sono altrettanto ingenui?
Più che altro dovrebbero essere ciechi, temo, se non si fossero mai accorti che gli strumenti “incriminati” si possono trovare su moltissimi campi cinofili. Quindi, delle due l’una: o la SAS non controlla minimamente quello che fanno i suoi Soci, oppure è piuttosto permissiva sulle interpretazioni delle sue linee guida.
In nessuno dei due casi mi sembra che facciano una gran figura, come emerge anche dall’intelligente critica pubblicata su “Da Hector a Rex”, web magazine dedicato proprio al pastore tedesco. Se volete capire meglio, leggetela (e magari inorridite anche un po’).
Augurandomi, quindi, che la SAS si muova al più presto per effettuare controlli su tutti i campi affiliati e non solo sul capro espiatorio di turno, facendo un mazzo così a tutti coloro che avessero in casa strumenti “non rispettosi del cane” … due parole in difesa dell’UD vorrei sprecarle io.
E sono queste:
a) NON è assolutamente vero che i cani da UD vengano regolarmente malmenati. Succede sui campi “macellai” (che però sono presenti in qualsiasi disciplina cinofila), ma l’utilizzo di metodi violenti e brutali è, grazie al cielo, riferibile a pochi personaggi che, fosse per me, dovrebbero finire dritti in galera.
Però sono POCHI, appunto: tutto il resto di questo mondo è formato da appassionati che adorano i propri cani e che sarebbero i primi a menar le mani (nel qual caso personalmente applaudirei…) se qualcuno osasse fare del male ai loro beniamini;
b) l’utilizzo di “fruste e bastoni”, come ben sa chiunque conosca la disciplina e come evidentemente ignora Stoppa, che nulla sa di cani né di sport cinofili, è solo “scenografico” e serve esclusivamente a testare le qualità naturali.
La frusta non viene MAI usata per colpire il cane, ma solo per aumentarne l’eccitazione; il bastone – anche in gara – viene usato due volte per colpire punti non sensibili del cane e valutarne la tempra… ma si tratta di un bastone imbottito, quindi morbido, che non fa alcun male all’animale (che infatti non fa una piega: o pensate che i cani, liberi di scegliere perché durante gli attacchi sono slegati da qualsiasi guinzaglio, starebbero lì a farsi “torturare” e non mollerebbero subito la manica per andarsene altrove?).
c) il fatto che si utilizzino strumenti come fruste e bastoni (nel modo sopra indicato) ha una motivazione molto seria: e cioè il fatto che il cani da UD sono gli stessi identici cani (perlomeno, si tratta delle stesse linee di sangue e degli stessi riproduttori) che poi affiancano le Forze dell’Ordine nei loro compiti di pubblica utilità. E’ evidente che non sarebbe mai possibile utilizzare cani che non fossero forniti delle giuste doti caratteriali, comprensive di combattività, temperamento, tempra e di tutto ciò che si valuta, appunto, durante le prove sportive. Che non si fanno “per vincere la coppetta”, ma per identificare i riproduttori che possono migliorare la razza (e non solo per ottenere soggetti adatti al lavoro di polizia: gli stessi cani guida per non vedenti, anche se la cosa non è molto risaputa, devono soggiacere a un addestramento particolarmente duro – d’altronde questi cani non possono sbagliare – e quindi servono doti caratteriali spiccatissime).
d) se è vero che ai vertici delle classifiche mondiali talora (anzi, diciamo pure “spesso”) troviamo cani addestrati con metodi non condivisibili (perlomeno, non da me) – ma questa è colpa soprattutto dell’FCI e di regolamenti che stanno chiedendo sempre di più, costringendo allevatori e addestratori a “spingere” anche troppo - è anche vero che il 99% delle persone che praticano questa disciplina lo fanno per divertirsi insieme al loro cane (nel senso che si divertono entrambi), con immensa passione e soprattutto con immenso amore.
Far pensare al grande pubblico che siano tutti dei maltrattatori di cani è una vera infamia, oltre ad essere di una falsità inaudita: quindi, se è giusto chiedere scusa a Stoppa & C. per le botte che hanno subito (e che nessun cinofilo civile, anzi nessuna persona civile può esimersi dal condannare con forza), è anche vero che Stoppa & C. dovrebbero chiedere scusa a loro volta per la pessima immagine, distorta e fuorviante, che hanno dato di uno sport bellissimo in cui i cani – salvo i casi visti sopra, che andrebbero severamente puniti – si divertono come pazzi.
Direi che non ho altro da aggiungere… se non che i risultati della campagna diffamatoria, purtroppo, si vedono già. Racconta una ragazza su FB: “Passeggiando con il mio dobermann incontro una signora che ci conosce benissimo, con mini cane. All’improvviso fa uno scatto e lo raccoglie da terra. Sbigottita le chiedo come mai, visto che hanno sempre giocato assieme, ed ecco la risposta che mi fa cadere letteralmente le braccia a terra: “Eh ma ho visto a Striscia che i cani che vengono addestrati come la sua (!!!!!!!!!!!) diventano cattivi e mordaci a furia di botte!! Non mi fido più…”
Ecco, queste sono le conseguenze dei servizi scandalistici stile “sbatti il mostro in prima pagina”.
Per questo vorrei tanto che Stoppa, Ricci e tutti coloro che si occupano di Striscia chiedessero davvero scusa a questa ragazza…e al suo cane.
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Re: Addestramento
Rep. Ceca, cane che partecipa ai combattimenti tra cani, addestrato fin da piccolo anche sul figurante (là portano i cuccioli a raduni mensili che organizzano per dressare loro cani, e man mano che crescono li sottopongono a queste prove, lo stesso in Ungheria, Russia, Ucraina - in questi paesi lavorano con i cani), ecco nel video la prova con con figurante. Ora mettiamo solo la prima parte del video e tutti diranno che è ottimo cane da guardia, ma la seconda parte... vi conferma che ci vuole istinto nativo alla protezione del padrone, e lavoro con addestratore se fatto bene può far spiccare le doti genetiche.
Qualcuno in Italia ha fatto addestramento (istigazione per portare il cane a mordere) e lo spaccia invece come test di carattere, i presenti a questo incontro hanno confermano che figurante ha stimolato a mordere e prima di questa sessione cani assolutamente non dimostravano nemmeno diffidenza verso estraneo; come al solito dire la verità è un optional.
Cani stimolati a mordere non trasmettono geneticamente questa dote (nei ultimi 12 anni l'ho scritto migliaia di volte, ma come si voleva dimostrare bisogna ripeterlo ogni giorno). Per questo vedo utilità del test di carattere come quello di Basovizza per vedere le doti native. Chi parteciperà al test verrà informato sul perché figurante arriva dal cane senza urli o movimenti bruschi, come si usa a fare (lo vedete anche nel filmato sopra), e capirà anche perché figurante ha la tuta addosso, anche se questo dovrebbe essere ovvio: visto che in gioco c'è la propria incolumità. Per me test è quando il cane in quel occasione vede per la prima volta la tuta, e non solo, ma anche tutto il resto della prova. Nel test di Basovizza non non serviva per dimostrare quello che cane ha imparato nelle sedute sul campo, ma era la prova di come si comporta nella situazione nuova. Per mia Erta era nuovo perfino il fato di essere lasciata legata all'albero per di più da sola, e anche tutto il resto.
Re: Addestramento
l'asia che si libera e carica intruso è NURANA, come vedete un cane geneticamente propenso alla guardia, nonostante addestramento, carica intruso non la sua manica...
Re: Addestramento
si vede che è zia di Ares...io aspetto sempre il nostro figurante ufficiale, in tuta da mondioring ovviamente, qui a casa:twisted: ...mi sbaglio o il Caucaso fa solo un gran baccano e non morde, ma indietreggia ? Appartiene sempre ad Hugo ?
laura- Numero di messaggi : 525
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Re: Addestramento
al figurante non fategli vedere sto video altrimenti vi dirà che è impegnato per i prossimi 15 anni
Luigi- Numero di messaggi : 248
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Re: Addestramento
è andata bene...
il caucaso non conosce la manica, pensa che si possa far male nel morderla, non sò che avrebbe fatto ad un braccio scoperto...
il caucaso non conosce la manica, pensa che si possa far male nel morderla, non sò che avrebbe fatto ad un braccio scoperto...
Daniele Prosperi- Numero di messaggi : 826
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Re: Addestramento
parli del "figurante" che ha da poco in casa una bella tuta blu (che fa finta di non capire che è riferito a lui...)laura ha scritto: si vede che è zia di Ares...io aspetto sempre il nostro figurante ufficiale, in tuta da mondioring ovviamente, qui a casa:twisted: ...mi sbaglio o il Caucaso fa solo un gran baccano e non morde, ma indietreggia ? Appartiene sempre ad Hugo ?
Re: Addestramento
Secondo me, stavano cercando di far acquisire sicurezza al Caucaso, questo giustifica anche la provocazione in contemporanea di più cani, penso che se un cane vuol mordere, la manica non gli fa nessun effetto... se non sbaglio, al test di Basovizza, Erta ha morso "tranquillamente" la manica, pur non avendola mai vista...comunque si Luiza, non vedo l'ora di vedere l'omino michelin in tuta blu all'opera...anche perché altrimenti tra un po' farà la muffa!
laura- Numero di messaggi : 525
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Re: Addestramento
Certo che voi donne quando volete siete tremende....almeno mi fate ridere ed il viaggio in treno (per andare a lavorare è chiaro) passa prima:D
luke68- Numero di messaggi : 539
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Re: Addestramento
entrambi:lol:
laura- Numero di messaggi : 525
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Re: Addestramento
laura ha scritto:Secondo me, stavano cercando di far acquisire sicurezza al Caucaso, questo giustifica anche la provocazione in contemporanea di più cani, penso che se un cane vuol mordere, la manica non gli fa nessun effetto... se non sbaglio, al test di Basovizza, Erta ha morso "tranquillamente" la manica, pur non avendola mai vista...comunque si Luiza, non vedo l'ora di vedere l'omino michelin in tuta blu all'opera...anche perché altrimenti tra un po' farà la muffa!
beh insomma, non è proprio così.. asia e caucaso nella finzione e con mezzi artificiali non sempre si comportano in questo modo, non sono cani che hanno un predatorio particolarmente sviluppato e spesso vedono la manica come un oggetto "potenzialmente pericoloso", da qui la loro scarsa attitudine al campo addestramento classico.
Ovviamente parliamo della media.. Erta è un caso limite, una femmina dalle doti caratteriali superiori alla media. Difficilmente possiamo affermare che la media delle femmine di Asia Centrale caratterialmente è come Erta.
Comunque l'omino in questione passa i giorni della settimana oberato dal lavoro e dal resto delle sue "responsabilità", e le sue Domeniche estive sul lettino in riva al mare (se volete vi mando una foto con abbronzatura a testimonianza.. )
Non preoccupatevi per la tuta che è ben risposta in luogo fresco e asciutto e lontano dalla luce diretta....
Daniele Prosperi- Numero di messaggi : 826
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Re: Addestramento
noi solo ricordiamo all'omino che non solo il lavoro, mare e altre responsabilità, ma anche il benessere degli amici a due e a quattro zampe è importanteDaniele Prosperi ha scritto:
Comunque l'omino in questione passa i giorni della settimana oberato dal lavoro e dal resto delle sue "responsabilità", e le sue Domeniche estive sul lettino in riva al mare (se volete vi mando una foto con abbronzatura a testimonianza.. )
Non preoccupatevi per la tuta che è ben risposta in luogo fresco e asciutto e lontano dalla luce diretta....
ovviamente vogliamo le foto a testimonianza, che prontamente girerò al fan club polacco
laura- Numero di messaggi : 525
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Proporre...
Relazione con il cane: comandi o proposte di comportamento?
Riccardo Totino | 4 settembre 2013 | 0 Commenti | Stampa articolo
di RICCARDO TOTINO - Linda è entrata a far parte del mondo della cinofilia come volontaria in un canile, poi ha adottato Rajà che da cane apparentemente semplice si è rivelato un vero problema.
Ci siamo conosciuti ed è nata una bella amicizia, il suo cane è fantastico ma ha bisogno di essere seguito con sicurezza e determinazione. Qualcuno lo vedrebbe come un fantastico cane tutor, ma mi dispiace per lui questo ragazzo ha già la sua famiglia. Tra le varie proposte di discussione che ho lanciato su FaceBook, Linda mi scrive:
Quest’anno, grazie a Riccardo, ho avuto l’opportunità di assistere come uditrice esterna a diverse delle lezioni del corso di Cane Uomo che si sono tenute presso la Fondazione Prelz, nel ‘canile’ di Campagnano. Tra tutte le azioni (e ne sono state fatte e sperimentate tante: allegre, importanti, nuove e di cazzeggio!) una in particolare mi è rimasta impressa, quella espressa dalla voce verbale ‘proporre’.
Ad essere esaminate non sono state solo ‘le proposte’ filogenetiche e ontogenetiche che i cani ci rivolgono. Quelle proposte che noi – in veste di educatori a pieno titolo o meno – dovremmo saper discernere, valutare, apprezzare o respingere, per poter entrare con l’universo peloso in una relazione costruttiva.
Ad essere esaminate sono state anche le proposte che noi, bipedi implumi, possiamo (o non possiamo, in quanto resteremmo del tutto incompresi) rivolger loro. E su questo il terreno si fa più restio e sdruccioloso, perché anche un comando è una proposta che però, dato nella maniera sbagliata, potrebbe non avere seguito.
‘Proporre’ a Campagnano ha avuto innanzitutto il senso di trovare il modo per suggerire al cane di incrementare i suoi pattern di comportamento. Il che declina in maniera abbastanza differente l’idea dell’ “obbedienza”, che è quello che noi – come proprietari di cani – spesso pretendiamo dai pelosi.
Nel caso particolare di un cane selvatico che ho osservato da vicino, ‘proporre’ ha significato entrare per settimane nel suo recinto, invitarlo a seguirci in quanto guide, beccarsi la frustrazione del suo rifiuto. Una, due, anche dieci volte.
Ma l’undicesima volta, chi ha gli strumenti e sa come non trasformare la proposta in aggressione, forse avrà seguito; o almeno ci potrà ben sperare. Correlato, non meno importante anzi fondamentale, è che la ‘proposta’ rispetto a ‘un ordine’ aprendo nuovi orizzonti di possibilità di azione per il cane, da un lato lo rende terribilmente ‘orgoglioso’ delle sue nuove capacità, dall’altro lo pone in una relazione talmente grossa di rispetto verso chi gli ha ‘insegnato a fare’, che il termine comando e obbedienza sarebbero completamente insufficienti per descriverla.
Raccontando di cose che conosco, questa mattina il suddetto cane selvatico è uscito quatto quatto per inseguire un gatto nel giardino di casa (cosa che gli piace da morire…!). E’ bastato un mio lievissimo richiamo per stopparlo, farlo voltare verso di me, fargli muovere la coda e il muso in maniera (assurdamente buffa) pacificatrice.
E stiamo parlando di un cane che rifuggiva qualsiasi contatto con l’umano. Un cane con cui (purtroppo) il ‘proprietario’ definitivo avrà ancora dieci oceani di lavoro da solcare. Ma è così facile saper ‘proporre’? Per me no. E per questo se avrò la disponibilità (economica e di tempo) il corso lo vorrei fare. In caso contrario, Ric, sarà una triste rinuncia.
Mi piacerebbe riuscire a spiegare meglio la trasformazione di un rapporto con un cane da un’esclusiva “dominanza-sottomissione” a una relazione fatta di messaggi inviati e ricevuti in modo assolutamente bidirezionale e finalizzati alla comprensione.
Iniziamo questa discussione con la domanda giusta: qual è la differenza tra un comando e un’indicazione di comportamento?
Comando:
Pretendere da un altro individuo un comportamento a cui non si può sottrarre: deve metterlo in atto e possibilmente senza pensare.
Indicazione di comportamento:
La proposta di far assumere un comportamento diverso da quello che l’altro ha in mente e che ai suoi occhi dovrà risultare più vantaggiosa.
È ovvio che una volta appreso, un comportamento potrà essere utilizzato sotto forma di comando, ma è necessario fare un’importante distinzione tra apprendimento e prestazione.
Durante la fase di apprendimento è stupido imporsi all’allievo: otterremmo solo chiusura o inibizione che potrebbe anche sfociare in rabbia e quindi in aggressività, tuttavia spesso è necessario forzare un po’ la mano per aiutare il soggetto a spingersi oltre quelli che lui ritiene essere i suoi limiti. E qui subentra il tema della conoscenza: il limite esiste più frequentemente nella mente che non nella realtà.
Facendogli affrontare il suo limite il cane si rende consapevole oltre che delle sue capacità, anche dell’utilità di fidarsi degli umani. Durante queste fasi l’insegnante deve saper valutare lo stato d’animo dello studente, le sue capacità reali, il contrasto con i limiti della mente, le sue emozioni e proporre percorsi adeguati in modo che l’allievo si sorprenda di sé stesso. Il tutto non deve essere motivato dal raggiungimento del successo dell’insegnante, ma solo dell’allievo.
Ora abbiamo bisogno di fare luce e definire al meglio alcuni termini che vengono utilizzati durante un percorso di educazione o rieducazione cinofila.
● Comunicazione:
La comunicazione a grandi linee consiste in uno scambio ripetuto di segnali che abbiano un senso logico, coerente e interpretabile tra l’emissario e il ricevente alternandosi nei ruoli l’uno con l’altro. Per essere più chiari il ricevente subito dopo avere interpretato il segnale diventa l’emissario di un nuovo messaggio e di conseguenza l’emissario diventa il ricevente.
Quando ci confrontiamo con una persona tutto questo è assolutamente normale: chiediamo una qualsiasi cosa e l’altro ci risponderà in modo sensato e coerente. Se questo non avviene non sarà difficile pensare che l’altro o è fuori di testa o non comprende ciò che stiamo dicendo.
Nella relazione con un cane niente cambia rispetto a questi presupposti tranne la diversità di linguaggio. “Parlare” con un cane è paragonabile a due persone di nazionalità diversa che parlano ognuno la propria lingua e sono in grado di capirsi ma non di parlarsi.
Proviamo a immaginare che possiamo capire l’inglese ma non sappiamo parlarlo e siamo di fronte a una persona che comprende l’italiano ma non lo sa parlare: un dialogo o un confronto sono possibili. È vero che una persona può imparare anche a esprimersi in una lingua diversa, ma un cane invece non potrà mai parlare e un umano non potrà mai muoversi come un cane.
● Apprendimento:
Quando si parla di apprendimento emerge spesso la parola “condizionamento”. Il condizionamento è però un termine riduttivo per spiegare i meccanismi di questo processo della mente. È stato utilizzato da I. Pavlov ai primi del ’900 per spiegare come un animale (considerato un essere privo della ragione) potesse apprendere un comportamento. Altri studi a seguire il suo lavoro hanno iniziato a porre delle perplessità su quella definizione di apprendimento, E. Tolman già negli anni ’50 iniziava a sospettare che nei topi utilizzati per i suoi studi ci fosse “comprensione” e non automatismi acquisiti.
Ad oggi si afferma sempre di più la tesi che gli animali realizzano e utilizzano i processi cognitivi. Un processo cognitivo è la sequenza dei singoli eventi necessari alla formazione di un qualsiasi contenuto di conoscenza, alla produzione di un pensiero o di un’idea.
● La Mente
Preferisco iniziare con un esempio. Ogni persona che entra in un supermercato si avvia con un carrello vuoto, all’uscita non sarà possibile osservarne due con contenuti identici. Inoltre il modo in cui saranno utilizzati i prodotti sarà diverso per ogni persona.
Il cervello raccoglie e incamera un certo numero di informazioni: maggiore è il numero delle informazioni più ampia sarà la conoscenza.
Le informazioni vengono acquisite dall’ambiente esterno e raccolte in particolari aree del cervello per essere recuperate e utilizzate nei momenti opportuni, tuttavia le conoscenze possono essere anche autoprodotte come risultato dell’elaborazione di quelle già acquisite.
Di fronte allo stesso stimolo ogni individuo reagirà in funzione delle conoscenze che ha e dal modo in cui le ha percepite e utilizzate fino a quel momento. La storia di un individuo è fatta dalle conoscenze che ha e da come le ha utilizzate; il futuro è dato dalla possibilità di ampliarle e di utilizzare quelle che ha in modo nuovo.
Apprendere significa cambiare. Una nuova conoscenza influenzerà inevitabilmente il comportamento successivo.
● Prestazione
Mettere in atto e al meglio i comportamenti appresi a seguito di una richiesta o di un comando. La prestazione è anche utilizzata come indicatore dell’avvenuto apprendimento. In merito a quest’ultima considerazione è necessario sapere che se è vero che l’ottenimento di una prestazione indica l’avvenuto apprendimento, la mancata prestazione non è indice del contrario. Un cane può sapere cosa deve fare e non averne voglia o valutare quella prestazione inopportuna in quel particolare contesto.
Accettati questi assunti possiamo proseguire nella nostra dissertazione.
In questi anni dedicati a comprendere meglio il mondo canino ho capito una cosa importante: i cani pensano!
«Beh!- direte voi – Hai scoperto l’acqua calda!»
Già, ma molto raramente ho visto e vedo persone, proprietari, colleghi, bambini o anziani “parlare” con il cane come se stessero di fronte a un individuo che ha bisogno del suo tempo per capire ciò che gli si sta chiedendo e osservare con attenzione le proposte che l’animale fa di fronte alla richiesta effettuata. E per far questo c’è bisogno di tempo. Ma il tempo necessario affinché un apprendimento si consolidi nella mente di un cane è di diversa natura: ce n’è bisogno sul momento per riflettere su quale scelta sia apparentemente la più sensata e subito dopo ne serve altro, per valutare le conseguenze del comportamento selezionato.
Se il problema viene riproposto, il cane dovrà valutare il nuovo, seppur noto stimolo, anche in funzione dell’esperienza precedente e per far questo avrà bisogno di altro tempo per “pensare”.
La reiterazione di un’esperienza con conseguenze simili, conduce all’emissione di automatismi dati dalla conoscenza e non dal condizionamento.
Per fare un esempio: se uscendo di casa dobbiamo scendere un gradino, lo faremo con naturalezza senza pensare ogni volta: «Oh!, c’è un gradino! Devo misurarne l’altezza per calcolare il movimento adatto!».
Non lo faremo perché la nostra mente sa dell’esistenza e della natura del gradino e così risparmieremo energia. Ma se durante la notte qualcuno modificasse l’altezza del gradino, il mattino seguente noi inciamperemmo.
Mano a mano che le conoscenze aumentano e si radicano nella nostra mente, avremo bisogno di sempre meno energia per utilizzarle.
Dunque il problema principale non è insegnare al cane a fare qualcosa, ma insegnargli a imparare.
Dargli uno stimolo e lasciargli il tempo di trovare una soluzione, dargliene un altro e aspettare che lui ne trovi una nuova. Fare in modo che sia lui ad imparare a risolvere i problemi e non pressarlo ripetendo continuamente cosa deve fare. Insomma, permettergli di scoprire la sua strategia di apprendimento!
Se coltiviamo questa “base”, per il cane sarà molto più semplice apprendere qualsiasi cosa e se questo è vero in generale, lo sarà ancor più con i cani di canile, che non hanno mai avuto contatti “didattici” con l’uomo.
La convivenza con noi permette a questo animale di acquisire una quantità di informazioni che in un branco non potrebbe mai conseguire, così come è vero il contrario.
Di certo la vita in famiglia pone lo stato emotivo del cane in una condizione di estrema tranquillità e sicurezza rispetto a una vita libera e per questo può imparare con serenità (senza doversi guardare intorno) a saltare ostacoli, passare nei tubi, girare su se stesso, fare slalom tra le gambe degli umani.
Non dobbiamo dimenticare che tra i bisogni primari prevale su tutti e tre quello di “sentirsi al sicuro” e ben sappiamo che se un individuo non si sente al sicuro non mangia, non beve, non dorme e non si accoppia.
Sarà dunque necessario iniziare a osservare (rispetto a quello che l’ambiente può offrire) cosa permette al cane di sentirsi in una condizione agiata e intentare un programma basato sulla costruzione di un rapporto di fiducia. Già, perché la fiducia è alla base della comunicazione e dello scambio di informazioni!
Se il cane non si fida di noi e viceversa, non riusciremo a insegnare nulla.
Il cane è un animale notturno e territoriale, quelli che vivono in famiglia invece sono diurni e spaziano in aree talmente vaste e scollegate che non saprebbero proprio come definire i limiti del loro territorio.
Se ne deduce che la capacità adattiva di questo animale è veramente alta. E proprio su questa adattabilità che noi facciamo leva per insegnare loro dei comportamenti che non gli appartengono, avallati dalla fiducia riposta nella nostra specie dal patto di solidarietà e collaborazione che abbiamo stipulato con il cane qualche millennio fa.
Con i cuccioli è tutto molto più facile: il carrello è vuoto e la spesa la facciamo noi. Dentro ci mettiamo tutto quello che serve per vivere con noi e poi gli “cuciniamo” le pietanze come più ci piace. Ogni tanto capita di non cuocere al meglio qualcosa o di rovinare un arrosto, a volte capita di mettere nel carrello cose inutili o di acquistarne altre che magari ci hanno consigliato, ma che poi facciamo andare a male perché non sappiamo come usarle. E qui subentra il lavoro degli educatori cinofili, che ci insegnano cosa acquistare, come utilizzarlo e probabilmente tutto va a posto.
I periodi sensibili di un cucciolo rappresentano uno dei momenti chiave in cui fare “la spesa” nel modo giusto. È importante che sin da piccolo impari a conoscere il mondo che dovrà affrontare, per poterlo considerare “normale” quando avrà la consapevolezza e la capacità di valutare gli stimoli che incontrerà come sicuri, normali o pericolosi.
Fino ai tre mesi i cuccioli accettano gli stimoli esterni in modo “meccanico”, “rubando” le emozioni agli adulti che hanno intorno e affidandosi completamente a loro per sentirsi al sicuro.
Un cucciolo che non è stato inserito in un ambiente urbano in modo corretto, molto probabilmente avrà “paura” ad affrontare gli stimoli a lui sconosciuti o meglio assumerà degli atteggiamenti che noi leggiamo come espressione di timore. In realtà non avrà paura della motocicletta, ma si sentirà al sicuro se riuscirà a starsene alla larga.
Così molti cani che sembrano aver subito chissà quali angherie, di fatto hanno solo imparato a tenersi a distanza da particolari “stimoli”, solo perché sono sconosciuti e ne sono ignote le conseguenze.
Sarebbe meglio definirli estremamente prudenti piuttosto che paurosi.
I cani nati randagi, catturati e messi in un canile ne sono la prova. È interessante osservare di quanto tempo abbiamo bisogno per “convincerli” ad affrontare una novità.
Il cane in questione ha riempito il suo “carrello” acquistando informazioni in “negozi” particolari e la sua libreria è piena di testi dal titolo “Diffidenza”, che gli insegnano a vivere in modo autonomo rispetto a noi.
Per loro passare sotto le gambe di una persona potrebbe rappresentare uno dei più grandi pericoli, al punto da considerarlo un comportamento a rischio di sopravvivenza.
Sotto quest’ottica il cane è un animale pensante che raccoglie tutte le sue conoscenze per comportarsi nel modo che sceglie più opportuno.
Gli ormoni sono le leve che innescano le richieste, i geni forniscono gli strumenti e la mente media con l’ambiente esterno, valutando tutto ciò che è in grado di percepire, aggirando e affrontando gli ostacoli per soddisfare l’organismo con il minimo dispendio di energia. Le emozioni giocano un ruolo estremamente importante nella scelta di un comportamento e l’umano di riferimento deve saper mediare e se necessario trasformarle.
Possiamo dunque concludere che la differenza tra comando e indicazione di comportamento investe la consapevolezza e la capacità di mettersi in gioco che ha l’umano di riferimento.
Si tratta anche di avere il coraggio di cercare di costruire un rapporto di fiducia spingendo su quelle potenzialità occulte che il cane non sa di avere e non avallando i suoi timori.
Nel carrello della spesa dobbiamo mettere, nostro malgrado, dei cibi che vanno bene per la società ma che il cane considera velenosi. Noi abbiamo il compito di rendere appetibili quegli alimenti e imparare a cucinarli in una maniera tale per cui il nostro allievo inizi a desiderarli anziché evitarli.
Fa parte di un percorso dove, agli occhi del cane, il proprietario impara a mantenere quella figura di riferimento nata quando il cucciolo aveva tra i due e tre mesi e che si evolve con lui.
Qualsiasi cuoco sa che non è possibile imparare a cucinare dal niente: oltre ad una conoscenza certa degli ingredienti di base e del loro modo di reagire alle varie cotture, il cuoco sa che la conoscenza dei differenti gusti delle differenti persone che siederanno alla sua tavola è una parte essenziale del suo lavoro.
Solo dopo che i clienti, da avventori di passaggio, diventano habitué del ristorante il cuoco potrà permettersi di proporre con successo nel menù anche qualche cosa di veramente sperimentale…
Fuori di metafora, lavorare attraverso indicazioni di comportamento anziché imposizione di comandi complica in maniera esponenziale il lavoro dell’educatore, perché non saremmo arrivati alla meta quando il cane avrà imparato a “mettersi seduto”, ma solo quando il cane si siederà spontaneamente perché sa che in quel momento è la cosa migliore da fare per tutti.
Quello che Campbell definiva come differenza tra cane obbediente e cane disciplinato.
Il compito dell’educatore non sarà più riferire e applicare al binomio cane-padrone delle regolette presenti in qualsivoglia manuale, bensì ‘ammaestrare’ (inteso come render maestri) cane e proprietario in una relazione virtuosa dove in maniera biunivoca l’uno e l’altro abbiano voglia e capacità di potersi fidare. E questo tenendo conto delle allergie, idiosincrasie, riluttanze, disgusti che nella varietà delle persone e dei cani si incontrano.
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Riccardo Totino | 4 settembre 2013 | 0 Commenti | Stampa articolo
di RICCARDO TOTINO - Linda è entrata a far parte del mondo della cinofilia come volontaria in un canile, poi ha adottato Rajà che da cane apparentemente semplice si è rivelato un vero problema.
Ci siamo conosciuti ed è nata una bella amicizia, il suo cane è fantastico ma ha bisogno di essere seguito con sicurezza e determinazione. Qualcuno lo vedrebbe come un fantastico cane tutor, ma mi dispiace per lui questo ragazzo ha già la sua famiglia. Tra le varie proposte di discussione che ho lanciato su FaceBook, Linda mi scrive:
Quest’anno, grazie a Riccardo, ho avuto l’opportunità di assistere come uditrice esterna a diverse delle lezioni del corso di Cane Uomo che si sono tenute presso la Fondazione Prelz, nel ‘canile’ di Campagnano. Tra tutte le azioni (e ne sono state fatte e sperimentate tante: allegre, importanti, nuove e di cazzeggio!) una in particolare mi è rimasta impressa, quella espressa dalla voce verbale ‘proporre’.
Ad essere esaminate non sono state solo ‘le proposte’ filogenetiche e ontogenetiche che i cani ci rivolgono. Quelle proposte che noi – in veste di educatori a pieno titolo o meno – dovremmo saper discernere, valutare, apprezzare o respingere, per poter entrare con l’universo peloso in una relazione costruttiva.
Ad essere esaminate sono state anche le proposte che noi, bipedi implumi, possiamo (o non possiamo, in quanto resteremmo del tutto incompresi) rivolger loro. E su questo il terreno si fa più restio e sdruccioloso, perché anche un comando è una proposta che però, dato nella maniera sbagliata, potrebbe non avere seguito.
‘Proporre’ a Campagnano ha avuto innanzitutto il senso di trovare il modo per suggerire al cane di incrementare i suoi pattern di comportamento. Il che declina in maniera abbastanza differente l’idea dell’ “obbedienza”, che è quello che noi – come proprietari di cani – spesso pretendiamo dai pelosi.
Nel caso particolare di un cane selvatico che ho osservato da vicino, ‘proporre’ ha significato entrare per settimane nel suo recinto, invitarlo a seguirci in quanto guide, beccarsi la frustrazione del suo rifiuto. Una, due, anche dieci volte.
Ma l’undicesima volta, chi ha gli strumenti e sa come non trasformare la proposta in aggressione, forse avrà seguito; o almeno ci potrà ben sperare. Correlato, non meno importante anzi fondamentale, è che la ‘proposta’ rispetto a ‘un ordine’ aprendo nuovi orizzonti di possibilità di azione per il cane, da un lato lo rende terribilmente ‘orgoglioso’ delle sue nuove capacità, dall’altro lo pone in una relazione talmente grossa di rispetto verso chi gli ha ‘insegnato a fare’, che il termine comando e obbedienza sarebbero completamente insufficienti per descriverla.
Raccontando di cose che conosco, questa mattina il suddetto cane selvatico è uscito quatto quatto per inseguire un gatto nel giardino di casa (cosa che gli piace da morire…!). E’ bastato un mio lievissimo richiamo per stopparlo, farlo voltare verso di me, fargli muovere la coda e il muso in maniera (assurdamente buffa) pacificatrice.
E stiamo parlando di un cane che rifuggiva qualsiasi contatto con l’umano. Un cane con cui (purtroppo) il ‘proprietario’ definitivo avrà ancora dieci oceani di lavoro da solcare. Ma è così facile saper ‘proporre’? Per me no. E per questo se avrò la disponibilità (economica e di tempo) il corso lo vorrei fare. In caso contrario, Ric, sarà una triste rinuncia.
Mi piacerebbe riuscire a spiegare meglio la trasformazione di un rapporto con un cane da un’esclusiva “dominanza-sottomissione” a una relazione fatta di messaggi inviati e ricevuti in modo assolutamente bidirezionale e finalizzati alla comprensione.
Iniziamo questa discussione con la domanda giusta: qual è la differenza tra un comando e un’indicazione di comportamento?
Comando:
Pretendere da un altro individuo un comportamento a cui non si può sottrarre: deve metterlo in atto e possibilmente senza pensare.
Indicazione di comportamento:
La proposta di far assumere un comportamento diverso da quello che l’altro ha in mente e che ai suoi occhi dovrà risultare più vantaggiosa.
È ovvio che una volta appreso, un comportamento potrà essere utilizzato sotto forma di comando, ma è necessario fare un’importante distinzione tra apprendimento e prestazione.
Durante la fase di apprendimento è stupido imporsi all’allievo: otterremmo solo chiusura o inibizione che potrebbe anche sfociare in rabbia e quindi in aggressività, tuttavia spesso è necessario forzare un po’ la mano per aiutare il soggetto a spingersi oltre quelli che lui ritiene essere i suoi limiti. E qui subentra il tema della conoscenza: il limite esiste più frequentemente nella mente che non nella realtà.
Facendogli affrontare il suo limite il cane si rende consapevole oltre che delle sue capacità, anche dell’utilità di fidarsi degli umani. Durante queste fasi l’insegnante deve saper valutare lo stato d’animo dello studente, le sue capacità reali, il contrasto con i limiti della mente, le sue emozioni e proporre percorsi adeguati in modo che l’allievo si sorprenda di sé stesso. Il tutto non deve essere motivato dal raggiungimento del successo dell’insegnante, ma solo dell’allievo.
Ora abbiamo bisogno di fare luce e definire al meglio alcuni termini che vengono utilizzati durante un percorso di educazione o rieducazione cinofila.
● Comunicazione:
La comunicazione a grandi linee consiste in uno scambio ripetuto di segnali che abbiano un senso logico, coerente e interpretabile tra l’emissario e il ricevente alternandosi nei ruoli l’uno con l’altro. Per essere più chiari il ricevente subito dopo avere interpretato il segnale diventa l’emissario di un nuovo messaggio e di conseguenza l’emissario diventa il ricevente.
Quando ci confrontiamo con una persona tutto questo è assolutamente normale: chiediamo una qualsiasi cosa e l’altro ci risponderà in modo sensato e coerente. Se questo non avviene non sarà difficile pensare che l’altro o è fuori di testa o non comprende ciò che stiamo dicendo.
Nella relazione con un cane niente cambia rispetto a questi presupposti tranne la diversità di linguaggio. “Parlare” con un cane è paragonabile a due persone di nazionalità diversa che parlano ognuno la propria lingua e sono in grado di capirsi ma non di parlarsi.
Proviamo a immaginare che possiamo capire l’inglese ma non sappiamo parlarlo e siamo di fronte a una persona che comprende l’italiano ma non lo sa parlare: un dialogo o un confronto sono possibili. È vero che una persona può imparare anche a esprimersi in una lingua diversa, ma un cane invece non potrà mai parlare e un umano non potrà mai muoversi come un cane.
● Apprendimento:
Quando si parla di apprendimento emerge spesso la parola “condizionamento”. Il condizionamento è però un termine riduttivo per spiegare i meccanismi di questo processo della mente. È stato utilizzato da I. Pavlov ai primi del ’900 per spiegare come un animale (considerato un essere privo della ragione) potesse apprendere un comportamento. Altri studi a seguire il suo lavoro hanno iniziato a porre delle perplessità su quella definizione di apprendimento, E. Tolman già negli anni ’50 iniziava a sospettare che nei topi utilizzati per i suoi studi ci fosse “comprensione” e non automatismi acquisiti.
Ad oggi si afferma sempre di più la tesi che gli animali realizzano e utilizzano i processi cognitivi. Un processo cognitivo è la sequenza dei singoli eventi necessari alla formazione di un qualsiasi contenuto di conoscenza, alla produzione di un pensiero o di un’idea.
● La Mente
Preferisco iniziare con un esempio. Ogni persona che entra in un supermercato si avvia con un carrello vuoto, all’uscita non sarà possibile osservarne due con contenuti identici. Inoltre il modo in cui saranno utilizzati i prodotti sarà diverso per ogni persona.
Il cervello raccoglie e incamera un certo numero di informazioni: maggiore è il numero delle informazioni più ampia sarà la conoscenza.
Le informazioni vengono acquisite dall’ambiente esterno e raccolte in particolari aree del cervello per essere recuperate e utilizzate nei momenti opportuni, tuttavia le conoscenze possono essere anche autoprodotte come risultato dell’elaborazione di quelle già acquisite.
Di fronte allo stesso stimolo ogni individuo reagirà in funzione delle conoscenze che ha e dal modo in cui le ha percepite e utilizzate fino a quel momento. La storia di un individuo è fatta dalle conoscenze che ha e da come le ha utilizzate; il futuro è dato dalla possibilità di ampliarle e di utilizzare quelle che ha in modo nuovo.
Apprendere significa cambiare. Una nuova conoscenza influenzerà inevitabilmente il comportamento successivo.
● Prestazione
Mettere in atto e al meglio i comportamenti appresi a seguito di una richiesta o di un comando. La prestazione è anche utilizzata come indicatore dell’avvenuto apprendimento. In merito a quest’ultima considerazione è necessario sapere che se è vero che l’ottenimento di una prestazione indica l’avvenuto apprendimento, la mancata prestazione non è indice del contrario. Un cane può sapere cosa deve fare e non averne voglia o valutare quella prestazione inopportuna in quel particolare contesto.
Accettati questi assunti possiamo proseguire nella nostra dissertazione.
In questi anni dedicati a comprendere meglio il mondo canino ho capito una cosa importante: i cani pensano!
«Beh!- direte voi – Hai scoperto l’acqua calda!»
Già, ma molto raramente ho visto e vedo persone, proprietari, colleghi, bambini o anziani “parlare” con il cane come se stessero di fronte a un individuo che ha bisogno del suo tempo per capire ciò che gli si sta chiedendo e osservare con attenzione le proposte che l’animale fa di fronte alla richiesta effettuata. E per far questo c’è bisogno di tempo. Ma il tempo necessario affinché un apprendimento si consolidi nella mente di un cane è di diversa natura: ce n’è bisogno sul momento per riflettere su quale scelta sia apparentemente la più sensata e subito dopo ne serve altro, per valutare le conseguenze del comportamento selezionato.
Se il problema viene riproposto, il cane dovrà valutare il nuovo, seppur noto stimolo, anche in funzione dell’esperienza precedente e per far questo avrà bisogno di altro tempo per “pensare”.
La reiterazione di un’esperienza con conseguenze simili, conduce all’emissione di automatismi dati dalla conoscenza e non dal condizionamento.
Per fare un esempio: se uscendo di casa dobbiamo scendere un gradino, lo faremo con naturalezza senza pensare ogni volta: «Oh!, c’è un gradino! Devo misurarne l’altezza per calcolare il movimento adatto!».
Non lo faremo perché la nostra mente sa dell’esistenza e della natura del gradino e così risparmieremo energia. Ma se durante la notte qualcuno modificasse l’altezza del gradino, il mattino seguente noi inciamperemmo.
Mano a mano che le conoscenze aumentano e si radicano nella nostra mente, avremo bisogno di sempre meno energia per utilizzarle.
Dunque il problema principale non è insegnare al cane a fare qualcosa, ma insegnargli a imparare.
Dargli uno stimolo e lasciargli il tempo di trovare una soluzione, dargliene un altro e aspettare che lui ne trovi una nuova. Fare in modo che sia lui ad imparare a risolvere i problemi e non pressarlo ripetendo continuamente cosa deve fare. Insomma, permettergli di scoprire la sua strategia di apprendimento!
Se coltiviamo questa “base”, per il cane sarà molto più semplice apprendere qualsiasi cosa e se questo è vero in generale, lo sarà ancor più con i cani di canile, che non hanno mai avuto contatti “didattici” con l’uomo.
La convivenza con noi permette a questo animale di acquisire una quantità di informazioni che in un branco non potrebbe mai conseguire, così come è vero il contrario.
Di certo la vita in famiglia pone lo stato emotivo del cane in una condizione di estrema tranquillità e sicurezza rispetto a una vita libera e per questo può imparare con serenità (senza doversi guardare intorno) a saltare ostacoli, passare nei tubi, girare su se stesso, fare slalom tra le gambe degli umani.
Non dobbiamo dimenticare che tra i bisogni primari prevale su tutti e tre quello di “sentirsi al sicuro” e ben sappiamo che se un individuo non si sente al sicuro non mangia, non beve, non dorme e non si accoppia.
Sarà dunque necessario iniziare a osservare (rispetto a quello che l’ambiente può offrire) cosa permette al cane di sentirsi in una condizione agiata e intentare un programma basato sulla costruzione di un rapporto di fiducia. Già, perché la fiducia è alla base della comunicazione e dello scambio di informazioni!
Se il cane non si fida di noi e viceversa, non riusciremo a insegnare nulla.
Il cane è un animale notturno e territoriale, quelli che vivono in famiglia invece sono diurni e spaziano in aree talmente vaste e scollegate che non saprebbero proprio come definire i limiti del loro territorio.
Se ne deduce che la capacità adattiva di questo animale è veramente alta. E proprio su questa adattabilità che noi facciamo leva per insegnare loro dei comportamenti che non gli appartengono, avallati dalla fiducia riposta nella nostra specie dal patto di solidarietà e collaborazione che abbiamo stipulato con il cane qualche millennio fa.
Con i cuccioli è tutto molto più facile: il carrello è vuoto e la spesa la facciamo noi. Dentro ci mettiamo tutto quello che serve per vivere con noi e poi gli “cuciniamo” le pietanze come più ci piace. Ogni tanto capita di non cuocere al meglio qualcosa o di rovinare un arrosto, a volte capita di mettere nel carrello cose inutili o di acquistarne altre che magari ci hanno consigliato, ma che poi facciamo andare a male perché non sappiamo come usarle. E qui subentra il lavoro degli educatori cinofili, che ci insegnano cosa acquistare, come utilizzarlo e probabilmente tutto va a posto.
I periodi sensibili di un cucciolo rappresentano uno dei momenti chiave in cui fare “la spesa” nel modo giusto. È importante che sin da piccolo impari a conoscere il mondo che dovrà affrontare, per poterlo considerare “normale” quando avrà la consapevolezza e la capacità di valutare gli stimoli che incontrerà come sicuri, normali o pericolosi.
Fino ai tre mesi i cuccioli accettano gli stimoli esterni in modo “meccanico”, “rubando” le emozioni agli adulti che hanno intorno e affidandosi completamente a loro per sentirsi al sicuro.
Un cucciolo che non è stato inserito in un ambiente urbano in modo corretto, molto probabilmente avrà “paura” ad affrontare gli stimoli a lui sconosciuti o meglio assumerà degli atteggiamenti che noi leggiamo come espressione di timore. In realtà non avrà paura della motocicletta, ma si sentirà al sicuro se riuscirà a starsene alla larga.
Così molti cani che sembrano aver subito chissà quali angherie, di fatto hanno solo imparato a tenersi a distanza da particolari “stimoli”, solo perché sono sconosciuti e ne sono ignote le conseguenze.
Sarebbe meglio definirli estremamente prudenti piuttosto che paurosi.
I cani nati randagi, catturati e messi in un canile ne sono la prova. È interessante osservare di quanto tempo abbiamo bisogno per “convincerli” ad affrontare una novità.
Il cane in questione ha riempito il suo “carrello” acquistando informazioni in “negozi” particolari e la sua libreria è piena di testi dal titolo “Diffidenza”, che gli insegnano a vivere in modo autonomo rispetto a noi.
Per loro passare sotto le gambe di una persona potrebbe rappresentare uno dei più grandi pericoli, al punto da considerarlo un comportamento a rischio di sopravvivenza.
Sotto quest’ottica il cane è un animale pensante che raccoglie tutte le sue conoscenze per comportarsi nel modo che sceglie più opportuno.
Gli ormoni sono le leve che innescano le richieste, i geni forniscono gli strumenti e la mente media con l’ambiente esterno, valutando tutto ciò che è in grado di percepire, aggirando e affrontando gli ostacoli per soddisfare l’organismo con il minimo dispendio di energia. Le emozioni giocano un ruolo estremamente importante nella scelta di un comportamento e l’umano di riferimento deve saper mediare e se necessario trasformarle.
Possiamo dunque concludere che la differenza tra comando e indicazione di comportamento investe la consapevolezza e la capacità di mettersi in gioco che ha l’umano di riferimento.
Si tratta anche di avere il coraggio di cercare di costruire un rapporto di fiducia spingendo su quelle potenzialità occulte che il cane non sa di avere e non avallando i suoi timori.
Nel carrello della spesa dobbiamo mettere, nostro malgrado, dei cibi che vanno bene per la società ma che il cane considera velenosi. Noi abbiamo il compito di rendere appetibili quegli alimenti e imparare a cucinarli in una maniera tale per cui il nostro allievo inizi a desiderarli anziché evitarli.
Fa parte di un percorso dove, agli occhi del cane, il proprietario impara a mantenere quella figura di riferimento nata quando il cucciolo aveva tra i due e tre mesi e che si evolve con lui.
Qualsiasi cuoco sa che non è possibile imparare a cucinare dal niente: oltre ad una conoscenza certa degli ingredienti di base e del loro modo di reagire alle varie cotture, il cuoco sa che la conoscenza dei differenti gusti delle differenti persone che siederanno alla sua tavola è una parte essenziale del suo lavoro.
Solo dopo che i clienti, da avventori di passaggio, diventano habitué del ristorante il cuoco potrà permettersi di proporre con successo nel menù anche qualche cosa di veramente sperimentale…
Fuori di metafora, lavorare attraverso indicazioni di comportamento anziché imposizione di comandi complica in maniera esponenziale il lavoro dell’educatore, perché non saremmo arrivati alla meta quando il cane avrà imparato a “mettersi seduto”, ma solo quando il cane si siederà spontaneamente perché sa che in quel momento è la cosa migliore da fare per tutti.
Quello che Campbell definiva come differenza tra cane obbediente e cane disciplinato.
Il compito dell’educatore non sarà più riferire e applicare al binomio cane-padrone delle regolette presenti in qualsivoglia manuale, bensì ‘ammaestrare’ (inteso come render maestri) cane e proprietario in una relazione virtuosa dove in maniera biunivoca l’uno e l’altro abbiano voglia e capacità di potersi fidare. E questo tenendo conto delle allergie, idiosincrasie, riluttanze, disgusti che nella varietà delle persone e dei cani si incontrano.
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