Come faccio a capire se il mio cane mi riconosce come leader?
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Come faccio a capire se il mio cane mi riconosce come leader?
Come faccio a capire se il mio cane mi riconosce come leader?
Valeria Rossi | 11 giugno 2013 | 0 Commenti | Stampa articolo
di VALERIA ROSSI – Bella, questa domanda che mi è arrivata su FB. Ed è piuttosto strano che non me l’avesse mai posta nessuno, perché è una domanda che ha decisamente il suo perché.
Moltissime persone mi chiedono “come faccio a diventare un leader?”, ma nessuno si era (o almeno, mi aveva) posto il quesito “come faccio a sapere se ci sono riuscito?”.
Ed io oggi scopro che non è facile neppure rispondere: perché è sicuramente facilissimo prendere delle cantonate.
La risposta più scontata sembrerebbe: “Sei un leader se il tuo cane ti obbedisce”… ma non è affatto detto che sia davvero così. Il cane potrebbe obbedire anche per paura, come succede nel caso dei macellai (i loro cani sono tutti obbedientissimi): ma quelli non sono leader, sono dittatori… e non è assolutamente la stessa cosa.
Il cane potrebbe obbedire anche per opportunismo: e questo succede a millemila persone che costruiscono rapporti a base di wurstel e che sono felicissimi di sentirsi buoni, gentili, rispettosi del cane.
E lo sono… ma la cosa non è sempre reciproca. Spesso, infatti, il cane non rispetta loro. Sta lì perché gli torna comodo, sta lì perché lì si mangia, sta lì perché pensa che senza quella persona si sentirebbe indifeso e rischierebbe di morire… ma se al posto di quella persona ne arrivasse un’altra, per lui sarebbe lo stesso e non si volterebbe neanche indietro.
In un articolo di qualche giorno fa ho scritto che il cane è “un simpatico opportunista” e qualcuno è insorto: ma come, opportunista? Ma che stai dicendo? (anzi, per la precisione: “Madonnina cosa sentono le mie orecchie!”)
Il tutto proveniva da un tizio che ritiene che io parli di cose che non conosco.
Peccato che lui, evidentemente, non conosca le definizioni etologiche di “predatore” ed “opportunista”: il cane familiare – a differenza del lupo – è considerato un opportunista perché gli mancano delle sequenze fondamentali nella caccia (con alcune eccezioni: i cani più in alto nella scala neotenica, come lo erano i miei siberian husky, sono in grado di completare l’intera sequenza di caccia e quindi potrebbero teoricamente “vivere di predazione”). Per questo il cane “moderno”, se viene abbandonato, potrà anche dar sfoggio di un ottimo impulso predatorio (sa identificare una preda, sa rincorrerla e sa anche ucciderla, in alcuni casi)… ma finisce quasi sempre per morire di fame perché non è capace di completare la ritualizzazione della caccia arrivando a sfamarsi tramite quella.
In alternativa può solo fare (come in effetti fa) la spola tra i cassonetti e cercare di trovare la pappa fatta alla quale è (o “l’abbiamo”) abituato. Anche i cani ferali, nati e vissuti senza alcun contatto con l’uomo, solitamente “predano cassonetti” e non animali.
Spogliato della retorica del “Fido che tutto dà e nulla pretende”, che è una gran cavolata, il cane considerato come cane e non come figura immaginaria e utopistica è, etologicamente, un opportunista. Ma lo è anche nel suo rapporto con noi, che per opportunismo è nato (come peraltro il nostro rapporto con lui: non avremmo mai iniziato a collaborare con il cane se entrambi non ne avessimo avuto dei vantaggi… ovvero, se non fossimo stati entrambi in grado di cogliere un’ “opportunità”. Quello di dare alle parole un significato “morale” anzichè etologico è l’errore più classico dei neofiti in materia scientifica).
Quando dico, però, che il cane può obbedire o starci accanto per opportunistmo, lo intendo proprio in senso “morale”: il cane non obbedisce perché ci stima e ci rispetta, ma perché pensa che il gioco valga la candela. In altre parole, il cane pensa (non solo per condizionamento, perché ci mette anche il suo pensiero raziocinante) “se faccio quello che mi chiede verrò premiato”. Il che non toglie, però, che possa anche pensare: “Questo è un emerito imbecille, ma se faccio quello che mi chiede vengo premiato, quindi lo faccio… almeno finché mi torna comodo”.
Inutile dire che nessun membro di nessun branco penserà mai la stessa cosa del suo lupo (o cane) alpha.
Se un cane (o lupo) pensa che l’alpha sia un imbecille, si dà immediatamente da fare per scalzarlo dalla sua posizione… e non per una questione morale, ma per una questione prettamente pratica: il cane (e il lupo) sanno benissimo che un branco capeggiato da un imbecille non può sopravvivere. E se non sopravvive il branco, non sopravvive la specie: cosa che Madre Natura assolutamente non può e non vuole permettere. Quindi lupi e cani provano un impulso fortissimo, ancestrale e assolutamente incontenibile verso la conservazione della specie, e di conseguenza verso il “non avere degli imbecilli alla guida” (il che causa la stragrande maggioranza dei problemi di aggressività da dominanza in famiglia).
Dunque, l’obbedienza non è così strettamente correlata alla stima e al rispetto (mentre è vero il contrario: se un cane non ci si fila di striscio, è certo che non ci stima e non ci rispetta).
Neppure il cosiddetto “amore” è correlato alla leadership: il cane ama, o quantomeno prova sentimenti di affezione, indipendentemente dalla posizione sociale di chicchessia.
Attenzione, perché qui l’argomento si fa delicato: noi diciamo spesso che il cane “sa amare come nessun altro”, che il suo amore “è puro e disinteressato” eccetera eccetera… ma di nuovo, se spogliamo tutto questo dalla retorica, ci rendiamo conto che è più vero il contrario: il cane – a differenza nostra – non sa essere maligno, infingardo, cattivo. Il cane è un animale sociale, esattamente come noi: e sa che la base della sopravvivenza di una specie sociale (cosa che invece a noi pare essere sfuggita) è la pace. La non belligeranza, l’evitamento dei conflitti… a meno che non si rendano proprio indispensabili.
Se proprio vogliamo metterci una piccola divagazione umanistica… una cosa è certa: nessuna specie sociale si fa mai la guerra, a meno che non ci sia una carenza di risorse e/o un sovraffollamento (e presumo che la natura abbia messo in stretta correlazione le due cose). E’ stato dimostrato sperimentalmente con specie diverse, dai ratti ai primati, che i conflitti nascono quando si aumenta il numero dei soggetti costretti a convivere: i ratti più pacifici del mondo diventano aggressivi e cominciano letteralmente a scannarsi quando se ne mettono troppi nella stessa gabbia. Da punto di vista scientifico, dunque, si potrebbe presumere che il motivo per cui gli umani si scannano in continuazione sia il fatto che siamo in troppi… o comunque che viviamo in troppi dentro le “gabbie” delle nostre città, dei condomini, degli uffici (non è certo un caso che le piccole comunità rurali brillino per solidarietà, mentre le grandi città sono permeate da micro- e macro-criminalità).
In realtà, però, io credo anche che gli umani abbiano proprio una sorta di “gene della cattiveria” che ai cani manca completamente: i cani non sanno fare dispetti, ripicche, pettegolezzi. Nessun cane mette zizzania, nessun cane sparla (e neppure “disabbaia”) alle spalle di un altro.
Però è anche vero che nessun cane “ama fino alla morte”: ho già scritto altre volte che gli Hachiko o i Fido di cui la storia ci ha raccontato sono stati semplicemente cani che non hanno saputo o potuto trovare un’alternativa.
L’amore eterno, l’amore “senza chiedere nulla in cambio”, l’amore profondo che coinvolge sensi, cuore, anima (ammesso che ne esista una), effettivamente è solo umano, anche perché in gran parte ha una base culturale che il cane non potrà mai possedere.
Il cane, dal canto suo, è indiscutibilmente “meno stronzo” di noi, ma non è capace di “amare di più e meglio”: è semplicemente un pacifista, che finché può cerca di evitare qualsiasi conflitto, che ama le coccole, la tranquillità, il sentirsi sicuro al fianco del suo umano di riferimento. E’ una forma di amore anche questa, certo: ma la vera superiorità dei sentimenti canini, più che nell’eccesso di amore, sta nella carenza di cattiveria.
In tutto questo, la leadership cosa c’entra? Ben poco, temo.
Pochi giorni fa, quando sono arrivata a Catania per un seminario, sono stata accolta all’aereoporto dall’organizzatrice che aveva con sè la sua cagnina (e quando dico “ina”, non lo dico per dire: è un microbo di cane). Ci siamo salutate, siamo salite in macchina, la cagnolina mi ha dato un’annusata di circostanza, ha dedotto che ci si poteva fidare e mi si è bellamente spiaccicata sulle ginocchia a pancia all’aria, con gli occhi chiusi e un’espressione di totale beatitudine, addormentandosi nel giro di cinque secondi. Chiunque mi avesse visto dall’esterno avrebbe sicuramente pensato che quello era il mio cane e che tra noi ci fosse un amore totale e infinito: invece ci “conoscevamo” da cinque minuti netti, e ovviamente di me non le poteva frega’ de meno.
Dunque, se non basta l’obbedienza e non basta l’amore (vero o presunto che sia)… come si fa a capire se il cane ci riconosce come leader, come figura guida, come “colui (o colei) a cui si può dare la massima fiducia, oltre a stima e rispetto”?
Eh… ve l’ho detto che non era facile rispondere!
Io penso che la cosa che più si avvicina a una risposta sia un misto di tutto ciò che abbiamo citato, anche se nessuno dei punti di cui sopra, da solo, sarebbe sufficiente. Però ritengo che il mio cane mi consideri un leader:
a) se non mi teme;
b) se manifesta nei miei confronti, sempre e solo spontaneamente, piccoli o grandi segnali di sottomissione attiva che significano “mi fido di te, voglio collaborare con te”;
c) se mi obbedisce, sempre e con prontezza, perché sa che se gli chiedo qualcosa c’è uno scopo, e non perché arriverà il bocconcino o il giochino;
d) se mi ama un po’ più di quanto non richieda la semplice sopravvivenza della società… e questo, di solito, io lo capisco – o magari mi lludo di capirlo – dal modo in cui il cane mi guarda: peccato che sia quasi impossibile da spiegare a parole.
Ci provo: non basta che negli occhi del cane ci sia amore (come ho detto sopra, quello lo puoi vedere anche in un cane che conosci da tre minuti); non basta neppure che ci sia fiducia (una volta che il cane ha assodato che non sei un pericolo per lui, un po’ di fiducia te la concede in tempo zero: è questo il motivo per cui educatoraddestratoristruttori possono lavorare con i cani altrui senza essere mangiati); dev’esserci consapevolezza. Lo so che non si capisce neanche così… ma intendo dire che dev’esserci una luce particolare che dice “so che io e te siamo un binomio, una cosa sola, una forza della natura. Perché io e te possiamo spaccare il mondo, perché siamo un animale a sei zampe capace di superare qualsiasi ostacolo e di riuscire in qualsiasi impresa”.
E’ una luce che ho visto in molti cani sportivi, in molti cani da utilità sociale, ma anche in alcuni normalissimi cani da compagnia: cani che sanno chi sono, chi è il loro “boss” a due zampe e cosa ci si aspetta che loro due facciano insieme. Cani che si sentono utili al branco e che sanno di avere a disposizione qualcuno che li guiderà nel modo migliore, non facendogli mai correre alcun rischio inutile e facendo sempre e solo cose che hanno uno scopo per il benessere del branco stesso.
Tutta questa chiacchierata, dunque, per dire che devi osservare solo il modo in cui il tuo cane ti guarda?
Eh… stringi stringi, sì.
Il che significa, purtroppo, che moltissimi lettori penseranno di essere assolutamente i leader del proprio cane, perchè credono – o si illudono – di aver letto esattamente questo nei suoi occhi. Altri penseranno invece di non essere dei leader, perché magari il cane non sembra avere proprio quello sguardo sereno, pieno di fiducia e di desiderio di cooperare che ho descritto (male) qui sopra: ma questo a volte dipende anche dalla razza. Leggere gli occhi di un pastore tedesco non è la stessa cosa che leggere gli occhi di un pitbull o di un cane corso: bisogna imparare bene i diversi linguaggi espressivi, le diverse sfumature (che a volte sono appena percettibili). Ci vuole, insomma, quell’esperienza che sempre predico dicendo che, senza quella, tutta la teoria del mondo non porta da nessuna parte (il che vale anche in senso opposto… ma meno. Chi ha tanta esperienza e poca teoria qualche ragno dal buco lo cava, chi ha tanta teoria e nessuna esperienza darà sempre clamorose facciate nei muri: dopodiché, magari, si sarà fatto anche l’esperienza necessaria, e allora la teoria sarà un grande valore aggiunto).
Ovviamente è difficile fare esperienza con un singolo cane, se si è proprietari di “cane unico”: ma anche noi siamo animali sociali, anche noi abbiamo la capacità di cooperare e di interagire. Quindi può anche bastare la normale frequentazione della normale società multispecifica in cui viviamo, che è ricchissima di altre persone e di altri cani, per “imparare a leggere” gli sguardi, i gesti, le posture.
Certo, non ci si riuscirà mai se si va all’area cani, si slega il guinzaglio e ci si mette a mandare sms: ma si cominciano a guardare i cani, già si impara qualcosa di più. Se si va a vedere qualche prova sportiva, si impara qualcos’altro. Se si frequenta un campo (non limitandosi a fare la propria lezioncina e via, ma osservando anche un po’ gli altri), si imparano nuove cose ancora.
E se fai tutto questo, significa che del tuo cane ti interessa davvero tanto. Che vuoi cooperare davvero con lui, che non ti basta avere il robottino obbediente, ma che vuoi creare un binomio capace di spaccare il mondo.
Se fai tutto questo, forse non sarai ancora un leader: ma sicuramente hai già posto le basi migliori per diventarlo.
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Valeria Rossi | 11 giugno 2013 | 0 Commenti | Stampa articolo
di VALERIA ROSSI – Bella, questa domanda che mi è arrivata su FB. Ed è piuttosto strano che non me l’avesse mai posta nessuno, perché è una domanda che ha decisamente il suo perché.
Moltissime persone mi chiedono “come faccio a diventare un leader?”, ma nessuno si era (o almeno, mi aveva) posto il quesito “come faccio a sapere se ci sono riuscito?”.
Ed io oggi scopro che non è facile neppure rispondere: perché è sicuramente facilissimo prendere delle cantonate.
La risposta più scontata sembrerebbe: “Sei un leader se il tuo cane ti obbedisce”… ma non è affatto detto che sia davvero così. Il cane potrebbe obbedire anche per paura, come succede nel caso dei macellai (i loro cani sono tutti obbedientissimi): ma quelli non sono leader, sono dittatori… e non è assolutamente la stessa cosa.
Il cane potrebbe obbedire anche per opportunismo: e questo succede a millemila persone che costruiscono rapporti a base di wurstel e che sono felicissimi di sentirsi buoni, gentili, rispettosi del cane.
E lo sono… ma la cosa non è sempre reciproca. Spesso, infatti, il cane non rispetta loro. Sta lì perché gli torna comodo, sta lì perché lì si mangia, sta lì perché pensa che senza quella persona si sentirebbe indifeso e rischierebbe di morire… ma se al posto di quella persona ne arrivasse un’altra, per lui sarebbe lo stesso e non si volterebbe neanche indietro.
In un articolo di qualche giorno fa ho scritto che il cane è “un simpatico opportunista” e qualcuno è insorto: ma come, opportunista? Ma che stai dicendo? (anzi, per la precisione: “Madonnina cosa sentono le mie orecchie!”)
Il tutto proveniva da un tizio che ritiene che io parli di cose che non conosco.
Peccato che lui, evidentemente, non conosca le definizioni etologiche di “predatore” ed “opportunista”: il cane familiare – a differenza del lupo – è considerato un opportunista perché gli mancano delle sequenze fondamentali nella caccia (con alcune eccezioni: i cani più in alto nella scala neotenica, come lo erano i miei siberian husky, sono in grado di completare l’intera sequenza di caccia e quindi potrebbero teoricamente “vivere di predazione”). Per questo il cane “moderno”, se viene abbandonato, potrà anche dar sfoggio di un ottimo impulso predatorio (sa identificare una preda, sa rincorrerla e sa anche ucciderla, in alcuni casi)… ma finisce quasi sempre per morire di fame perché non è capace di completare la ritualizzazione della caccia arrivando a sfamarsi tramite quella.
In alternativa può solo fare (come in effetti fa) la spola tra i cassonetti e cercare di trovare la pappa fatta alla quale è (o “l’abbiamo”) abituato. Anche i cani ferali, nati e vissuti senza alcun contatto con l’uomo, solitamente “predano cassonetti” e non animali.
Spogliato della retorica del “Fido che tutto dà e nulla pretende”, che è una gran cavolata, il cane considerato come cane e non come figura immaginaria e utopistica è, etologicamente, un opportunista. Ma lo è anche nel suo rapporto con noi, che per opportunismo è nato (come peraltro il nostro rapporto con lui: non avremmo mai iniziato a collaborare con il cane se entrambi non ne avessimo avuto dei vantaggi… ovvero, se non fossimo stati entrambi in grado di cogliere un’ “opportunità”. Quello di dare alle parole un significato “morale” anzichè etologico è l’errore più classico dei neofiti in materia scientifica).
Quando dico, però, che il cane può obbedire o starci accanto per opportunistmo, lo intendo proprio in senso “morale”: il cane non obbedisce perché ci stima e ci rispetta, ma perché pensa che il gioco valga la candela. In altre parole, il cane pensa (non solo per condizionamento, perché ci mette anche il suo pensiero raziocinante) “se faccio quello che mi chiede verrò premiato”. Il che non toglie, però, che possa anche pensare: “Questo è un emerito imbecille, ma se faccio quello che mi chiede vengo premiato, quindi lo faccio… almeno finché mi torna comodo”.
Inutile dire che nessun membro di nessun branco penserà mai la stessa cosa del suo lupo (o cane) alpha.
Se un cane (o lupo) pensa che l’alpha sia un imbecille, si dà immediatamente da fare per scalzarlo dalla sua posizione… e non per una questione morale, ma per una questione prettamente pratica: il cane (e il lupo) sanno benissimo che un branco capeggiato da un imbecille non può sopravvivere. E se non sopravvive il branco, non sopravvive la specie: cosa che Madre Natura assolutamente non può e non vuole permettere. Quindi lupi e cani provano un impulso fortissimo, ancestrale e assolutamente incontenibile verso la conservazione della specie, e di conseguenza verso il “non avere degli imbecilli alla guida” (il che causa la stragrande maggioranza dei problemi di aggressività da dominanza in famiglia).
Dunque, l’obbedienza non è così strettamente correlata alla stima e al rispetto (mentre è vero il contrario: se un cane non ci si fila di striscio, è certo che non ci stima e non ci rispetta).
Neppure il cosiddetto “amore” è correlato alla leadership: il cane ama, o quantomeno prova sentimenti di affezione, indipendentemente dalla posizione sociale di chicchessia.
Attenzione, perché qui l’argomento si fa delicato: noi diciamo spesso che il cane “sa amare come nessun altro”, che il suo amore “è puro e disinteressato” eccetera eccetera… ma di nuovo, se spogliamo tutto questo dalla retorica, ci rendiamo conto che è più vero il contrario: il cane – a differenza nostra – non sa essere maligno, infingardo, cattivo. Il cane è un animale sociale, esattamente come noi: e sa che la base della sopravvivenza di una specie sociale (cosa che invece a noi pare essere sfuggita) è la pace. La non belligeranza, l’evitamento dei conflitti… a meno che non si rendano proprio indispensabili.
Se proprio vogliamo metterci una piccola divagazione umanistica… una cosa è certa: nessuna specie sociale si fa mai la guerra, a meno che non ci sia una carenza di risorse e/o un sovraffollamento (e presumo che la natura abbia messo in stretta correlazione le due cose). E’ stato dimostrato sperimentalmente con specie diverse, dai ratti ai primati, che i conflitti nascono quando si aumenta il numero dei soggetti costretti a convivere: i ratti più pacifici del mondo diventano aggressivi e cominciano letteralmente a scannarsi quando se ne mettono troppi nella stessa gabbia. Da punto di vista scientifico, dunque, si potrebbe presumere che il motivo per cui gli umani si scannano in continuazione sia il fatto che siamo in troppi… o comunque che viviamo in troppi dentro le “gabbie” delle nostre città, dei condomini, degli uffici (non è certo un caso che le piccole comunità rurali brillino per solidarietà, mentre le grandi città sono permeate da micro- e macro-criminalità).
In realtà, però, io credo anche che gli umani abbiano proprio una sorta di “gene della cattiveria” che ai cani manca completamente: i cani non sanno fare dispetti, ripicche, pettegolezzi. Nessun cane mette zizzania, nessun cane sparla (e neppure “disabbaia”) alle spalle di un altro.
Però è anche vero che nessun cane “ama fino alla morte”: ho già scritto altre volte che gli Hachiko o i Fido di cui la storia ci ha raccontato sono stati semplicemente cani che non hanno saputo o potuto trovare un’alternativa.
L’amore eterno, l’amore “senza chiedere nulla in cambio”, l’amore profondo che coinvolge sensi, cuore, anima (ammesso che ne esista una), effettivamente è solo umano, anche perché in gran parte ha una base culturale che il cane non potrà mai possedere.
Il cane, dal canto suo, è indiscutibilmente “meno stronzo” di noi, ma non è capace di “amare di più e meglio”: è semplicemente un pacifista, che finché può cerca di evitare qualsiasi conflitto, che ama le coccole, la tranquillità, il sentirsi sicuro al fianco del suo umano di riferimento. E’ una forma di amore anche questa, certo: ma la vera superiorità dei sentimenti canini, più che nell’eccesso di amore, sta nella carenza di cattiveria.
In tutto questo, la leadership cosa c’entra? Ben poco, temo.
Pochi giorni fa, quando sono arrivata a Catania per un seminario, sono stata accolta all’aereoporto dall’organizzatrice che aveva con sè la sua cagnina (e quando dico “ina”, non lo dico per dire: è un microbo di cane). Ci siamo salutate, siamo salite in macchina, la cagnolina mi ha dato un’annusata di circostanza, ha dedotto che ci si poteva fidare e mi si è bellamente spiaccicata sulle ginocchia a pancia all’aria, con gli occhi chiusi e un’espressione di totale beatitudine, addormentandosi nel giro di cinque secondi. Chiunque mi avesse visto dall’esterno avrebbe sicuramente pensato che quello era il mio cane e che tra noi ci fosse un amore totale e infinito: invece ci “conoscevamo” da cinque minuti netti, e ovviamente di me non le poteva frega’ de meno.
Dunque, se non basta l’obbedienza e non basta l’amore (vero o presunto che sia)… come si fa a capire se il cane ci riconosce come leader, come figura guida, come “colui (o colei) a cui si può dare la massima fiducia, oltre a stima e rispetto”?
Eh… ve l’ho detto che non era facile rispondere!
Io penso che la cosa che più si avvicina a una risposta sia un misto di tutto ciò che abbiamo citato, anche se nessuno dei punti di cui sopra, da solo, sarebbe sufficiente. Però ritengo che il mio cane mi consideri un leader:
a) se non mi teme;
b) se manifesta nei miei confronti, sempre e solo spontaneamente, piccoli o grandi segnali di sottomissione attiva che significano “mi fido di te, voglio collaborare con te”;
c) se mi obbedisce, sempre e con prontezza, perché sa che se gli chiedo qualcosa c’è uno scopo, e non perché arriverà il bocconcino o il giochino;
d) se mi ama un po’ più di quanto non richieda la semplice sopravvivenza della società… e questo, di solito, io lo capisco – o magari mi lludo di capirlo – dal modo in cui il cane mi guarda: peccato che sia quasi impossibile da spiegare a parole.
Ci provo: non basta che negli occhi del cane ci sia amore (come ho detto sopra, quello lo puoi vedere anche in un cane che conosci da tre minuti); non basta neppure che ci sia fiducia (una volta che il cane ha assodato che non sei un pericolo per lui, un po’ di fiducia te la concede in tempo zero: è questo il motivo per cui educatoraddestratoristruttori possono lavorare con i cani altrui senza essere mangiati); dev’esserci consapevolezza. Lo so che non si capisce neanche così… ma intendo dire che dev’esserci una luce particolare che dice “so che io e te siamo un binomio, una cosa sola, una forza della natura. Perché io e te possiamo spaccare il mondo, perché siamo un animale a sei zampe capace di superare qualsiasi ostacolo e di riuscire in qualsiasi impresa”.
E’ una luce che ho visto in molti cani sportivi, in molti cani da utilità sociale, ma anche in alcuni normalissimi cani da compagnia: cani che sanno chi sono, chi è il loro “boss” a due zampe e cosa ci si aspetta che loro due facciano insieme. Cani che si sentono utili al branco e che sanno di avere a disposizione qualcuno che li guiderà nel modo migliore, non facendogli mai correre alcun rischio inutile e facendo sempre e solo cose che hanno uno scopo per il benessere del branco stesso.
Tutta questa chiacchierata, dunque, per dire che devi osservare solo il modo in cui il tuo cane ti guarda?
Eh… stringi stringi, sì.
Il che significa, purtroppo, che moltissimi lettori penseranno di essere assolutamente i leader del proprio cane, perchè credono – o si illudono – di aver letto esattamente questo nei suoi occhi. Altri penseranno invece di non essere dei leader, perché magari il cane non sembra avere proprio quello sguardo sereno, pieno di fiducia e di desiderio di cooperare che ho descritto (male) qui sopra: ma questo a volte dipende anche dalla razza. Leggere gli occhi di un pastore tedesco non è la stessa cosa che leggere gli occhi di un pitbull o di un cane corso: bisogna imparare bene i diversi linguaggi espressivi, le diverse sfumature (che a volte sono appena percettibili). Ci vuole, insomma, quell’esperienza che sempre predico dicendo che, senza quella, tutta la teoria del mondo non porta da nessuna parte (il che vale anche in senso opposto… ma meno. Chi ha tanta esperienza e poca teoria qualche ragno dal buco lo cava, chi ha tanta teoria e nessuna esperienza darà sempre clamorose facciate nei muri: dopodiché, magari, si sarà fatto anche l’esperienza necessaria, e allora la teoria sarà un grande valore aggiunto).
Ovviamente è difficile fare esperienza con un singolo cane, se si è proprietari di “cane unico”: ma anche noi siamo animali sociali, anche noi abbiamo la capacità di cooperare e di interagire. Quindi può anche bastare la normale frequentazione della normale società multispecifica in cui viviamo, che è ricchissima di altre persone e di altri cani, per “imparare a leggere” gli sguardi, i gesti, le posture.
Certo, non ci si riuscirà mai se si va all’area cani, si slega il guinzaglio e ci si mette a mandare sms: ma si cominciano a guardare i cani, già si impara qualcosa di più. Se si va a vedere qualche prova sportiva, si impara qualcos’altro. Se si frequenta un campo (non limitandosi a fare la propria lezioncina e via, ma osservando anche un po’ gli altri), si imparano nuove cose ancora.
E se fai tutto questo, significa che del tuo cane ti interessa davvero tanto. Che vuoi cooperare davvero con lui, che non ti basta avere il robottino obbediente, ma che vuoi creare un binomio capace di spaccare il mondo.
Se fai tutto questo, forse non sarai ancora un leader: ma sicuramente hai già posto le basi migliori per diventarlo.
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Re: Come faccio a capire se il mio cane mi riconosce come leader?
Un 'idea di chi riesce veramente a "leggere" i cani allora ce l'ho: una persona che ha avuto più cani di tutti gli utenti di questo forum messi insieme, e che, vi garantisco, perchè gliel' ho visto fare, è capace di avere con loro ( cani non di sua proprietà ovviamente) un linguaggio che neanche il migliore degli addestratori possiede
laura- Numero di messaggi : 525
Data d'iscrizione : 26.05.11
Età : 51
Località : ancona
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