Pastore dell'Asia Centrale e del Caucaso
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Come gestire aggressività

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luke68
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Messaggio  karanuker Gio Ott 18, 2012 11:42 am

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di VALERIA ROSSI – A chi non è capitato, una volta o l’altra, di essere così furioso per un qualsiasi motivo e/o con qualsiasi persona da dare un pugno sul tavolo, o da lanciare un oggetto (incolpevole ed estraneo all’arrabbiatura) contro il muro?
Se vi è successo almeno una volta, avete sperimentato personalmente i meccanismi che portano il cane a manifestare la cosiddetta “aggressività rediretta”: ovvero, “ce l’ho con la persona/cane/oggetto X, ma siccome non ho modo di raggiungerla mi sfogo prendendomela con la persona/cane/oggetto Y, anche se non ne può nulla”.
La causa, nel cane, è la stessa identica di quella che spinge l’uomo a dare pugni al povero tavolo: l’equilibrio emozionale si è alterato a tal punto da necessitare per forza di una valvola di sfogo, altrimenti il soggetto scoppierebbe come una pentola a pressione.
La differenza sta nel fatto che l’uomo, avendo un senso morale e dei retaggi culturali che gli impediscono di reagire solo istintivamente, tende a sfogare la propria aggressività su qualcosa di neutro, come appunto un oggetto inanimato, evitando – di solito – di attaccare altre persone innocenti. Ho scritto “di solito” e non “sempre” perché, purtroppo, in alcuni casi il turbine emotivo è talmente intenso da far perdere completamente la testa anche agli umani: può succedere, per esempio, durante una rissa, se una terza persona cerca di dividere due contendenti. Anche se le sue intenzioni sono pacifiche e i contendenti lo sanno benissimo, non è raro che si becchi un cazzotto rediretto anche lui.
Un altro esempio è contenuto nella canzone di Jannacci “Quelli che”, che a un certo punto cita “quelli che quando perde l’Inter o il Milan dicono “in fondo è una partita di calcio”, poi vanno a casa e picchiano i figli”.

Purtroppo, anche se nella canzone la cosa fa sorridere, a volte succede davvero qualcosa di molto simile.
Se, dunque, perfino l’uomo fatica a gestire la propria aggressività quando raggiunge il livello di guardia, figuriamoci cosa può combinare un cane, che di retaggi culturali e sensi morali non ne ha. E infatti il cane, quando la pressione è arrivata al limite, può mordere qualsiasi cosa gli capiti a tiro: dall’albero al cane convivente e purtroppo, al proprietario.
Personalmente ho ancora il segno di un bella pinzata rediretta sulla mia chiappa sinistra da un mio husky che stava litigando di brutto con un altro cane (cosa che mi ha insegnato a non mettermi mai più in mezzo alle risse): il fatto che il combattimento sia stata immediatamente sospeso quando il cane ha capito di aver morso ME, e che si sia dato a disperati ululati di “scusa scusa, non volevo, ma sai com’è, mi è partito l’embolo” non ha migliorato di molto il mio umore, né lo stato della mia chiappa.
Ovviamente, però, in questi casi non si può neppure parlare di aggressività verso il proprietario: il cane, infatti, non è padrone delle proprie azioni. Non avrebbe alcun senso punirlo (anzi, peggiorerebbe le cose aumentando il suo stato d’ansia), ma non serve neppure “calmarlo”, perché intanto ormai si è sfogato: o, in termini etologici, ha concluso la ritualizzazione.
Come ricorderete, infatti – perché ne abbiamo parlato più volte - ogni azione del cane (e non solo del cane!) è composta da tre fasi: appetitiva, consumatoria e risolutiva. Se il ciclo non si conclude, l’omeostasi del cane – ovvero l’equilibrio interiore – non può tornare ai livelli normali.
Nel caso dell’aggressività rediretta accade che la fase appetitiva raggiunga il livello di guardia senza il cane abbia modo di passare alle due fasi successive, che quindi vengono effettuate su un bersaglio diverso da quello originale.
Ma quand’è che può accadere tutto questo? Ovviamente, quando il bersaglio originale si rivela irraggiungibile: cosa che nell’uomo può anche avere una valenza morale/culturale, come abbiamo visto sopra (ce l’ho a morte col capufficio, ma siccome non posso dargli un cazzotto perché altrimenti mi licenziano, mollo un pugno alla fotocopiatrice), mentre per il cane si tratta quasi sempre di un ostacolo fisico. Esempi tipici sono rappresentati dal guinzaglio e dalle reti di recinzione: per esempio, è molto frequente l’aggressività rediretta su un cane convivente quando entrambi stanno facendo la guardia ad un cancello e fuori da esso passa l’odiato postino (o un “odiato qualcun altro”, cane o persona che sia). Se il soggetto in questione passa e se ne va, i cani normalmente ritengono conclusa la rituazzazione perché pensano di aver messo in fuga l’avversario (fase appetitiva: “voglio mordere il postino”; fase consumatoria: “abbaio al postino e gli dico di tutto”; fase risolutiva: “il postino se ne va, quindi fugge”. Il cane è soddisfatto e si sente realizzato). I problemi iniziano quando il soggetto NON se ne va (come spesso accade proprio con i postini, che devono lasciare la posta e magari far firmare una raccomandata; ma accade anche con i ragazzetti stupidi e cattivi che, sentendosi protetti dal cancello, restano lì apposta per stuzzicare i cani e fargli “salire la pressione”): in questo caso può succedere che il cane, al culmine della frustrazione, se la prenda con il suo compagno che stava lì ad abbaiare insieme a lui. In questi casi succede spesso che anche il secondo cane abbia la stessa reazione e che quindi i due si mettano a litigare… ma di solito la cosa è di breve durata, perchè una volta esaurita la ritualizzazione entrambi si accorgono di non avere alcun motivo per prendersela l’uno con l’altro, e tornano a farsi gli affari propri senza strascichi né rancori.
Il bersaglio è servito solo come tale, appunto, ma non c’è mai stato un vero conflitto tra i due e non è il caso di preoccuparsi per il proseguo della convivenza.

L’altro caso classico (quello illustrato dalle foto) riguarda appunto il guinzaglio: succede piuttosto spesso che un cane con alta aggressività intraspecifica, trattenuto dal guinzaglio, alla fine si sfoghi redirigendo il morso sulla prima cosa che gli capita a tiro…e che sono, ovviamente, le gambe del conduttore.
La sequenza è stata scattata durante il lavoro con il cane tutor “Mina” (la border che appare nella prima foto) al seminario di Torino: il cane paziente, Forrest, con altissima aggressività intraspecifica, non potendo arrivare al suo bersaglio perché trattenuto dal guinzaglio ha eseguito due redirette sulle gambe di Alessio, che lo teneva al guinzaglio. Come si può notare, il primo tentativo è stato più blando… ma siccome l’impedimento persisteva, il cane ha nuovamente rediretto con molta più convinzione ed intensità.
Ma che si può fare, concretamente, contro l’aggressività rediretta?
Sembra lapalissiano quanto banale, ma… la cosa principale è la prevenzione: ovvero, cercare di evitare che la “pentola” salga oltre i livelli di pressione accettabili.
Questo significa intervenire sempre “prima”: nel caso dei cani da guardia, per esempio, basta che il proprietario vada a controllare la situazione e – preso atto che si tratta di intrusi non pericolosi – di al cane un segnale di “tutto ok” (che deve essergli ovviamente insegnato), abbassandone il livello di aggressività. Andare a controllare permette anche di cazziare con forza gli eventuali bambini/ragazzini (e vecchietti, ahimé… ne ho incontrato personalmente uno…) che si divertissero ad aizzare i cani: normalmente basta la minaccia di aprire il cancello, e i cretini si squagliano come neve al sole.
Quando il cane è al guinzaglio, bisogna assolutamente evitare di “restar lì fermi” senza far nulla qualora lui manifesti aggressività intraspecifica (ma anche interspecifica): bisognerà cambiare rapidamente strada, o aspettare che l’altro cane/persona sia passato entrando per esempio in un portone o in negozio, cosicché il nostro amico non abbia modo di “caricarsi” troppo.
Ovviamente bisognerà poi lavorare sul problema (per esempio utilizzando i cani tutor, come è stato fatto proprio nel caso di Forrest: prossimamente pubblicheremo un servizio completo sui risultati ottenuti), ma intanto che ci si lavora bisogna evitare le occasioni in cui l’aggressività si manifesta.
Un altro caso ancora in cui si può vedere aggressività rediretta è quello dei cani sportivi: specie quelli che praticano discipline di morso, ma non solo (alcuni conduttori di agility si sono beccati delle redirette niente male).
In questi casi il problema sta tutto nel timing: non bisogna aspettare troppo a liberare il cane, sia che debba attaccare un figurante o partire per un percorso. Se il cane è esageratamente eccitato e ci mordicchia piedi o gambe (o manifesta altri tipi di sfogo, come per esempio montare la gamba), significa che abbiamo sbagliato i tempi… o che il cane non dispone di sufficiente autocontrollo per affrontare questi tipi di sport: in questi casi bisognerà lavorarci, sospendendo nel frattempo l’attività sportiva.

NOTA: l’aggressività rediretta è detta anche “aggressività sostitutiva”. Per alcuni Autori si tratta di due cose diverse, per altri sono la stessa cosa. Pur non escludendo che ci possano essere casi in cui l’aggressività è maggiormente “voluta” ed altri in cui invece il cane agisce senza sapere quello che fa, personalmente ritengo che si possano trattare le due cose in modo univoco, visto che i risultati sono gli stessi… e le cose da fare anche.
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Messaggio  karanuker Ven Gen 11, 2013 11:52 am

Sempre di Valeria Rossi:
Il cucciolo va socializzato, assolutamente, sempre e comunque, qualunque sia la sua destinazione futura. VERISSIMO.
I cani da guardia, da cuccioli, vanno socializzati esattamente come gli altri: i cani da difesa vanno socializzati. Tutti i cani vanno socializzati, altrimenti non diventano “più utili” o “più bravi nel loro lavoro”: diventano sociopatici.
I cuccioli vanno socializzati con le persone (bambini compresi) e con gli altri cani, senza però “sovraesporli” costringendoli a subire overdose di coccole, a venir trattati come peluche dai bambini o ad essere “presi di mezzo” da altri cani molto più grossi e troppo irruenti. Esperienze sgradevoli nella prima infanzia possono segnare un cane per sempre.

• Il cucciolo che ringhia se gli tocchi la ciotola “è dominante” e va messo subito al suo posto punendolo. FALSO.
Il cucciolo che difende il cibo risponde ad un istinto atavico di sopravvivenza assolutamente sacrosanto.
La fase di ordinamento gerarchico in una famiglia canina non inizia prima dei quattro mesi, quindi se il cucciolo è più piccolo di così non saprà neppure cosa sia la dominanza. Difende il cibo perché il cibo è una risorsa primaria: basta fargli capire che nessuno vuole rubarglielo, e la sua aggressività regredirà.

• Il cucciolo che morde le mani o i piedi “è aggressivo”. FALSO, FALSISSIMO e pure STUPIDO.
Il cucciolo gioca con noi come giocava con i fratellini: anche facendo la lotta. Solo che noi abbiamo la pelle più delicata dei suoi fratelli… e lui non lo sa. ([Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]).

• Il cucciolo di due mesi è troppo piccolo per imparare qualcosa. FALSO.
L’educazione del cane deve iniziare dal momento stesso in cui entra in casa. Non ci sono cuccioli “troppo piccoli” per imparare (ci sono, però, cuccioli troppo piccoli per poter gestire la propria vescica: non si può pretendere che un cane di due mesi trattenga la pipì per molte ore).
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Messaggio  luke68 Ven Gen 11, 2013 12:06 pm

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Messaggio  karanuker Gio Gen 17, 2013 10:29 am

Sempre di Vaelria Rossi

Leviamoci subito dalla testa che un cucciolo ci ringhi “perché è dominante”: il concetto di dominanza e di gerarchia NON ESISTE PROPRIO in un cane che abbia meno di tre mesi (la fase di ordinamento gerarchico nel branco non inizia neppure prima di questa età) è ancora molto nebuloso nel cucciolone di quattro-sei mesi, che può pensare di sfidare un umano solo se questi ha dimostrato di essere proprio un completo incapace come “capo”. Anche se pensa di dare la scalata alle gerarchie, comunque, è quasi impossibile che un cucciolone metta la cosa sul piano fisico, perché sa benissimo di non essere abbastanza maturo per sostenere un confronto con qualcuno che è più grosso di lui. Quindi, se sfida può esserci, sarà più sul piano psicologico: si potranno avere disobbedienze e “mancanze di rispetto” (per esempio appropriarsi della poltrona o delle pantofole del “capo”), ma non si arriva MAI alla minaccia/attacco per motivi gerarchici.
Per questo, se per caso negli ultimi tempi siete andati avanti a pane e Cesar Millan, vi consiglio di dimenticare immediatamente tutto quello che avete ascoltato su “come si prevarica un cane”, perché questo NON-DEVE-VALERE-ASSOLUTAMENTE per i cuccioli (personalmente sono contrarissima ai metodi di Millan anche sugli adulti, ma con i cuccioli molto piccoli la dominanza c’entra come i cavoli a merenda, e con quelli un po’ più grandi si deve esercitare solo con la saggezza, la coerenza, la pazienza e la costruzione di una figura carismatica, autorevole e non certo autoritaria).
E ora vediamo i motivi per cui un cane molto giovane può minacciare il morso:

DIFESA DEL CIBO: si manifesta con il classico ringhio sulla ciotola, se si cerca di toccarla-spostarla, o sull’osso.
Il cucciolo ha tutte le ragioni del mondo per comportarsi così, perché sta difendendo la sua stessa vita (almeno dal suo punto di vista): quindi, se è lecito fargli capire che non deve ringhiare/mordere, è anche giusto fargli capire che non deve farlo perché NON CE N’E’ ALCUN MOTIVO.
Il modo migliore per convincere il cane che non intendiamo privarlo del suo cibo è quello di toccare la ciotola solo per AGGIUNGERE altro cibo: quindi, fin dai primi giorni, mettiamo nella ciotola solo metà della porzione prevista, e quando il cucciolo ha cominciato a mangiare aggiungiamo un po’ alla volta il resto, facendogli prima vedere/annusare la mano con il cibo, poi deponendolo nella ciotola, poi spostando un pochino la ciotola, poi infilandoci la mano dentro eccetera eccetera… ma senza toglierla veramente finché non è vuota.
Nel giro di pochi giorni il cucciolo capirà che “mano in avvicinamento” non significa “pericoloso ladro di ciotole in arrivo”, bensì “arriva altra pappa”: quindi non avrà più nessun motivo per minacciarci, perché a sua volta non si sentirà minacciato.
Semplice, lineare e facilissimo da mettere in pratica.

I cuccioli abituati a vedere la mano che “aggiunge” cibo, e non che lo sottrae, scodinzolano felici quando tocchiamo le loro ciotole.
Con i cuccioloni che già manifestano aggressività sulla ciotola (ma anche con i cani adottati in età adulta, specie se provengono da canili in cui la competitività sul cibo è sempre molto spinta) dovremo partire da più da lontano, mostrando in modo plateale la mano che porge il nuovo cibo: non piantiamo la mano direttamente nella ciotola, ma facciamola “arrivare” lentamente verso di essa, in modo che il cane abbia il tempo di capire quello che succede (altrimenti potremmo rischiare il morso).
Se il cane è molto difensivo, diamogli la ciotola vuota e riempiamola con la mano un po’ alla volta, abituandolo così al concetto di “mano che dà” e che non toglie.
POSSESSIVITA’: con l’osso (vero o finto) o i giocattoli che il cucciolo pensa di dover difendere perché “sono suoi” ci si deve comportare nello stesso identico modo: la mano che sottrae deve dare sempre qualcosa in cambio: un bocconcino, un altro gioco, qualcosa che sia sempre molto gradito al cane. PRIMA si dà il nuovo e POI si toglie il vecchio.

AUTODIFESA: un cucciolo, solitamente, NON va in autodifesa se non ha avuto qualche sgradevole esperienza precedente che lo induca a pensare di doversi preoccupare. Quindi, per evitare questa reazione, basta non scatenarla. I cani più ringhiosi/mordaci sono sempre quelli che sono stati picchiati, minacciati, insomma trattati “alla Millan”, laddove il leader è visto come una figura che si impone con la forza anziché come una figura da amare e stimare.
Se il danno è già stato fatto, eliminate completamente ogni vostro atteggiamento aggressivo/violento e sostituitelo con quelli visti sopra, andandoci ovviamente più cauti e rispettando soprattutto molto le distanze (la cosiddetta prossemica): il cucciolo/cucciolone avrà una sua “distanza di sicurezza”, al di fuori della quale non ci considererà una minaccia, mentre se la superate comincerà a dare segnali di nervosismo e poi di aggressività.
Agite inizialmente rimanendo ai margini di questa distanza, che progressivamente si accorcerà man mano che il cane si renderà conto che non ha nulla da temere.
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Messaggio  karanuker Gio Gen 17, 2013 10:34 am

Valeria Rossi
Quando la dominanza… non c’entra un tubo!
Negli articoli dei giorni scorsi ci siamo occupati molto di “dominanza”, cercando di spiegare cosa sia in realtà e cosa si debba fare (ma soprattutto NON fare!) per ottenere un ruolo “dominante”, ovvero di superiorità gerarchica, sul proprio cane.
Mancava, però, un punto importante: ovvero quello che riguarda manifestazioni, comportamenti e problemi che con la dominanza non c’entrano affatto, o c’entrano solo di riflesso.
Per esempio: un cucciolo gioca con un cane adulto e l’adulto “capotta” spanciando a zampe all’aria, mentre il cucciolo sopra di lui ringhia, lo prende alla gola, gli affibbia morsetti qua e là.
Lo stesso può avvenire quando un microcane adulto gioca con un altro adulto di stazza dieci volte superiore.
Il proprietario del cagnino si gonfia immediatamente come un pavone (se potesse farebbe anche la ruota): “Eh, sì: si vede che il mio cane è dominante!”
MA DE CHE?
Ma chettevuoi domina’?
Il cucciolo e l’adulto (il micro e il maxicane) stanno giocando, punto: e l’universo ludico non ha niente a che vedere con quello reale.
Non avete mai giocato a braccio di ferro con un bambino di tre anni, lasciandolo vincere?
Non fingete mai di cadere colpiti a morte quando vostro figlio vi “spara” facendo PUM PUM col dito?
Se sì… o pensate che il bambino di tre anni sia il vostro superiore e che dobbiate rispettarlo e fare tutto quello che vi chiede, oppure dovete rendervi conto che i cani, quando giocano, giocano e basta.
E proprio come avviene tra gli umani, dove nei giochi bambino-adulto spesso si finge che il bambino sia il più forte, anche i cani adulti “lasciano vincere” i cuccioli. In entrambi i casi i piccoli acquisiscono autostima (pur sapendo bene che è tutto e solo un gioco), vengono gratificati e, contemporaneamente, imparano mosse che potrebbero essere loro utili, un domani, in un “vero” scontro fisico.
Insomma, il gioco può essere visto come una “scuola di gerarchia” (in cui si impara la mimica giusta non solo per “dominare”, ma anche per sottomettersi!), ma soprattutto è un momento di relax e di puro, semplice piacere: una cosa a cui tendono tutti, animali e umani, anche senza andarci per forza a cercare le motivazioni psico-eto-zoo-piripacchiologiche.
E infatti la cosa si verifica in moltissime specie diverse, vedi foto a sinistra.
Ma finché un umano si compiace nel vedere il suo cane di due mesi e cinque chili che “sottomette” (come no!) un adulto di trenta, poco male.
Cioè, un po’ di male c’è, perché significa che l’umano sta antropomorfizzando biecamente il cane: che invece non “se la tira” affatto quando sale di grado gerarchico, perché “tirarsela” è una caratteristica prettamente umana.
Il cane fa solo quello che, secondo lui, è meglio per il suo branco e più in generale per la sua specie: se i cani più forti, più intelligenti, più esperti salgono di grado, saranno loro a guidare il branco (che quindi avrà maggiori probabilità di cavarsela nelle difficoltà), ma soprattutto saranno loro a riprodursi, trasmettendo geni che hanno maggiori possibilità di dar vita a cani forti, intelligenti eccetera.
Questo è l’unico motivo per cui, in natura, esistono le gerarchie. Non c’è invece alcun concetto di “capufficio” o di “segretario di partito”: insomma, non ci sono “poltrone”.
Noi siamo abituati a pensare alla “dominanza” come a una posizione di potere che porta dei benefici a noi stessi: il cane, a volte, assume una posizione dominante che magari NON vorrebbe, perché il suo unico interesse è il beneficio che questo può portare alla società in cui vive.
E’ il caso di tutti i cani che cercano di sovrastare gerarchicamente gli umani di casa.
Chi glielo fa fare? Il pensiero che, se continua a comandare quel cretino a due zampe, il branco-famiglia potrebbe finire male.
Tant’è vero che spesso, dopo che il cretino ha fatto magari un corso cinofilo ed ha imparato a comportarsi come un leader affidabile, il cane torna a sottomettersi senza problemi (e spesso con somma soddisfazione, perché si è tolto grane e responsabilità che non ci teneva affatto ad avere).
Il cane pensa, il cane ragiona, il cane fa un sacco di bellissime cose… ma non è mai spinto da motivazioni “culturali” come le nostre: lui è spinto innanzitutto dalla sua “caninità” naturale, che gli impone sopravvivenza personale, sopravvivenza del branco e conservazione della specie (non necessariamente in quest’ordine).
POI viene tutto il resto.
Se non lo teniamo sempre ben presente, rischiamo di andare in confusione (e di mandarci lui).

Altri comportamenti in cui la dominanza non c’entra una beatissima cippa sono quelli di difesa del cibo, autodifesa e possessività.
Se io cerco di fregare il cibo a un cane e questi mi mostra i denti, non è “dominante”: sta solo difendendo il suo diritto primario ad alimentarsi e quindi a sopravvivere!
Qualche anno fa uscì un libro di Nicholas Dodman, “If only they could speak” (“Se solo potessero parlare”) che conteneva un test per valutare la dominanza del vostro cane.
Tra le molte domande, alcune delle quali sicuramente sensate (tipo: come si comporta se lo fissate negli occhi? Quando gli mettete il collare? Quando gli chiedete di scendere da un divano?) ce ne sono alcune che con la dominanza c’entrano davvero poco o nulla.
Per esempio: “cosa fa se gli passate accanto mentre mangia? E se toccate il suo cibo? E se lo toccate mentre dorme?”
In queste situazioni anche il cane più sottomesso del mondo può reagire aggressivamente.
La difesa del cibo è un istinto innato, ce l’hanno già i cuccioli piccolissimi e con la dominanza non ha nulla da spartire (tant’è vero che alcuni cuccioli ringhiano ai fratellini se questi li toccano mentre stanno ciucciando, a quindici-venti giorni di vita! E la fase di ordinamento gerarchico inizia molto più tardi).
Se vogliamo che il cane accetti che tocchiamo la sua ciotola dovremo abituarlo all’idea che non gli sottraiamo mai il cibo, ma che ci mettiamo le manacce dentro solo quando gliene vogliamo aggiungere.
Facendolo effettivamente fin da quando è cucciolo, insegnamo al cane che la nostra vicinanza alla ciotola non è una minaccia, ma una cosa positiva (mi dà altro cibo) e quindi possiamo inibire il suo comportamento di difesa senza scendere sul piano del conflitto e dello scontro (si può fare anche con un adulto, se abbiamo adottato un cane già grandicello: occorrerà solo un po’ più di prudenza).

Infine, toccare un cane che dorme è una cosa sciocca, punto e basta.
Perché il cane, quando dorme, DORME, appunto.
Una volta io ho toccato sulla spalla il marito che stava ronfando della grossa e lui ha reagito tirandomi un cazzotto stile Tyson, che mi ha mancato di un centimetro (per fortuna, avendo gli occhi chiusi, la mira non è stata granché).
Al mio conseguente urlaccio “MA SEI SCEMO?!”, il tapino si è ovviamente svegliato e con aria contritissima mi ha spiegato che stava sognando di essere inseguito da un tizio armato di coltello. Quando si è sentito toccare, evidentemente, non ha distinto sogno e realtà e gli è scattata l’autodifesa (o almeno questa è stata la scusa ufficiale… ma vabbe’, prendiamola per buona).
Questo significa forse che mio marito sia “dominante”? (sogghign-sogghign).
Bene: anche i cani sognano, è scientificamente assodato (oltre ad apparire evidente dal modo in cui mugolano, ringhiano, guaiscono e “pedalano” nel sonno): siccome non possiamo sapere “cosa” stanno sognando, toccandoli potremmo incontrare una reazione simile a quella che ha avuto il marito, con la sola differenza che il cane non ci tira un pugno, ma un morso.
Vogliamo forse dare del “dominante” a un povero cane che magari sognava di essere aggredito da un predatore?
Vogliamo trovare altre motivazioni psico-eto-zoo-piripacchiologiche a quella che è semplicemente una reazione inconscia di autodifesa?
I nostri nonni, che sicuramente non sapevano nulla di prossemica, avevano però ben chiari due insegnamenti da dare ai nipotini: “Non toccare il cane che mangia – Non toccare il cane che dorme”.
Teniamoli buoni, perché sono perle di saggezza (e se poi vogliamo spiegarli la prossemica, facciamo pure: basta che continuiamo a mantenere le giuste distenze e che non confondiamo la dominanza con l’autodifesa).

Oltre all’autodifesa incoscia, ovviamente, c’è quella conscia: che di nuovo, con la dominanza, ha poco da spartire. Semmai è legata al temperamento, alla tempra, alla combattività, tutte doti caratteriali che possono essere più o meno sviluppate e che possono causare risposte diverse a uno stimolo offensivo. Ma il cane, come ogni altro essere vivente, quando subisce un attacco tende istintivamente a rispondere per le rime: e questo che sia dominante o meno.
Ho visto solo ieri un video in cui il noto “sussurratore” televisivo dei miei stivali tirava un calcetto a un cane, per poi rispondere violentemente alla sua (sacrosanta) reazione spiegando che in questo modo l’avrebbe “dominato”.
Un comportamento assolutamente idiota, visto che il cane si stava facendo gli affaracci suoi e che ha reagito alla SUA aggressione (e cioè al calcio) non per dominanza ma per autodifesa.
Ma senza arrivare a tali estremi, basti assistere ai mille casi in cui un cane, per esempio, viene “aggredito” da un bambino (vedi foto): se va in autodifesa e reagisce mordendo, non è un cane “dominante” ma un cane che si è sentito in pericolo: a maggior ragione può reagire aggressivamente un cane che viene realmente minacciato o picchiato.
E’ vero che un cane molto sottomesso può “lasciarsi fare di tutto”: ma di solito questo accade più per tolleranza e santa pazienza che per sottomissione, tant’è vero che i cani più tolleranti con i bambini sono proprio i grandi molossi, che tendenzialmente sono tutt’altro che sottomessi.
In realtà avviene proprio il contrario: ovvero, sono talmente forti e sicuri di sé (tipico dei soggetti dominanti) che guardano alle “aggressioni” umane con superiorità (Tzè…pensi mica di intimidirmi con queste sciocchezze?) le subiscono senza fare una piega.
Oppure si tratta semplicemente di amore, puro e semplice. Che non è certo sinonimo di “sottomissione”.

Parentesi di passaggio: la frase che ho utilizzato sopra è quella che comunemente si usa per definire un cane buono con i bambini: “Si lascia fare di tutto!”.
Resta da chiedersi per quale misterioso motivo i genitori debbano permettere a un bambino di “fare di tutto” a un cane.
Per sadismo? Per deficienza totale? Perché poi magari succede che il “tutto” abbia un limite… e in quel caso viene immancabilmente colpevolizzato il CANE. “Non l’aveva mai fatto!”, o peggio: “E’ impazzito”. No, non è impazzito lui: siete stati pazzi voi a permettere che si arrivasse oltre il limite della canina tolleranza!
Su Facebook, qualche settimana fa, impazzava un video in cui un bambino piccolissimo continuava a tirar via la ciotola ad un pastore tedesco, che con l’aria da martire, ogni volta, allungava la zampa, si riprendeva la ciotola e ricominciava a mangiare: e il bambino, di nuovo, gliela tirava via. E i genitori? I genitori riprendevano con la telecamera.
Quel video era pieno di commenti divertiti ed entusiastici, con millemila MI PIACE.
Io avrei voluto che FB inserisse un bottone con scritto: “Non mi piace affatto, è una cazzata galattica ed è pericolosissimo!”: purtroppo quel bottone non esiste. Per fortuna, a un certo punto, è apparso il commento di un’amica (che, guarda caso, alleva rottweiler) che ha spiegato un po’ la cosa a tutti gli entusiasti di cui sopra (senza sortire, apparentemente, grandi risultati, perché il MI PIACE hanno continuato ad aumentare).

Concludendo: gerarchie, dominanza, sottomissione sono fattori importanti nella vita del cane, ma non sono gli UNICI. Non è né sensato, né corretto riportare qualsiasi comportamento del cane a questioni gerarchiche: a volte le gerarchie non c’entrano affatto, altre volte c’entrano solo di striscio.
E vorrei che fosse chiaro.
Io ho scritto più volte che le gerarchie per il cane possano venire perfino prima del cibo o del sesso: è vero, ne sono convinta…ma questo non significa certo che il cane sia disposto a saltare i pasti per lasciare mangiare un superiore gerarchico, o che vedendo una cagnina che lo arrapa chieda prima al “capo”: “Non è che interessi anche a lei? Perché nel caso, io lascio perdere”.
Non succede niente di tutto questo!
Anche se è vero che in natura si accoppiano solo i cosiddetti soggetti “alfa” del branco, che sono i più alti in grado, la motivazione non è affatto gerarchica.
In pratica succede che Madre Natura, il cui interesse principale (per non dire l’unico) è la conservazione della specie, faccia in modo che non nascano troppi cuccioli laddove ci sarebbero risorse per pochi. E siccome non è scema, fa anche in modo che a riprodursi siano solo i soggetti dotati dei geni migliori (e quindi quelli dei soggetti più alti in grado, che a quel grado ci sono arrivati proprio dimostrando di essere più forti/più sani/più intelligenti degli altri).
I cani domestici, che il cibo se lo trovano pronto-in-ciotola da millenni, non si fanno più questi problemi: le cagne vanno in calore due volte all’anno (e non una sola, come succede in natura) e tutti tromberebbero allegramente tutti, perché Madre Natura pensa che nella società umana ci siano risorse in abbondanza.
Ed è vero. Peccato che nella società umana ci siano anche gli umani.
Purtroppo Madre Natura non deve avere avuto modo di dare una sbirciata ai canili, altrimenti forse avrebbe cambiato idea: ma visto che lei ha altro a cui pensare, dovremmo essere NOI a badare alla selezione, non facendo riprodurre i geni peggiori e soprattutto evitando di riempire il mondo di cucciolate “ad capocchiam”.
Purtroppo i risultati reali dimostrano palesemente che, così come i cani sono ancora un po’ “lupi inside”, anche noi siamo ancora molto “scimmie inside”: e a volte dimostriamo la stessa capacità di discernimento.
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Messaggio  Daniele Prosperi Gio Gen 17, 2013 11:31 am

quanto me piace sta ragazza!!!

"Se vogliamo che il cane accetti che tocchiamo la sua ciotola dovremo abituarlo all’idea che non gli sottraiamo mai il cibo, ma che ci mettiamo le manacce dentro solo quando gliene vogliamo aggiungere.
Facendolo effettivamente fin da quando è cucciolo, insegnamo al cane che la nostra vicinanza alla ciotola non è una minaccia, ma una cosa positiva (mi dà altro cibo) e quindi possiamo inibire il suo comportamento di difesa senza scendere sul piano del conflitto e dello scontro (si può fare anche con un adulto, se abbiamo adottato un cane già grandicello: occorrerà solo un po’ più di prudenza)."


confermo quanto scritto, con Shaytan, che fin da 3 mesi difendeva la sua ciotola e nei mesi successivi ha sempre ringhiato in mia presenza, ho lavorato in questo modo. L'ho lasciato fare fino ad un anno circa di età, poi, vedendo che non mollava, ho cominciato a lavorarci. A circa 16 mesi ha smesso di ringhiare. Non gli mai portato via nulla perchè la conclusione sarebbe stata la solita rissa tra me e lui, piuttosto aggiungevo e lui ha capito... si può fare, con la giusta attenzione...
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Come gestire aggressività Empty DOMINANZA questa sconosciuta o meglio questa grande fraintesa

Messaggio  karanuker Gio Gen 17, 2013 12:10 pm

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Messaggio  luke68 Gio Gen 17, 2013 7:59 pm

Daniele mi ha tolto le parole di bocca....parole semplici per esprimere concetti per molti difficili da capire.
E' davvero piacevole leggre i suoi articoli....grazie Luiza per i tuoi post.
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Messaggio  karanuker Mar Gen 29, 2013 9:18 am

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Quando il cane ha paura dell’uomo

di VALERIA ROSSI – Si parla continuamente di “recupero” o “riabilitazione” di cani “con problemi comportamentali”. Poi vai a vedere di cosa si tratta… e si scopre che Fufi tirava al guinzaglio, Bubi ha ringhiato una volta alla nonna che gli ha messo le mani nella ciotola, Baby non vuol giocare col cane dei vicini, ma in compenso insegue il loro gatto con piglio da killer.
Ma sono veri problemi comportamentali, questi?
Dal punto di vista dell’umano, sicuramente sì: il cane “si comporta” in modo sgradito/sgradevole e la cosa appare come un “problema” a cui bisogna porre rimedio. Ma parlare di “terapia” o di “riabilitazione”, in casi del genere, mi fa un pochino sorridere: perché il cane, in realtà, sta benissimo.
E’ sanissimo di mente.
Semplicemente non ha capito le regole (spesso solo perché nessuno gliele ha mai insegnate) e quindi non riesce ad inserirsi nella società umana in un modo ritenuto accettabile dalla parte bipede.
Non si tratta di cani con veri e propri “problemi”, ma di cani che, se fossero umani, potremmo definire “politically uncorrect”.
Insomma, di cani normalissimi, ma maleducati.
Personalmente credo che sia giusto parlare di vero problema comportamentale (e conseguentemente di vere e proprie terapie e di riabilitazioni) solo in due casi: quando il cane è incapace di rapportarsi in modo naturale con i suoi simili e quando il cane è incapace di rapportarsi in modo corretto con l’uomo.
Il che si può tradurre in due tipi di comportamenti anomali: paura e aggressività (anche se spesso la seconda è la diretta conseguenza della prima).
Oggi vorrei affrontare l’argomento dei cani affetti dalla cosiddetta “sociopatia interspecifica”, limitandomi però ai cani ansiosi, paurosi o fobici, ovvero a quelli che non amano il contatto con l’uomo, che lo rifuggono o che ne hanno addirittura terrore.
Innanzitutto, vediamo quali possono essere…

LE CAUSE

• Ci possono essere cause genetiche, oppure legate all’imprinting materno, o tutte e due le cose insieme: cuccioli timidi possono infatti nascere da madri a loro volta fornite di insufficienti doti caratteriali, ma possono anche essere “resi” timidi dal comportamento materno nelle primissime settimane di vita.
Tra i primi insegnamenti che la mamma dà alla cucciolata, infatti, c’è il riconoscimento dei pericoli: e anche una mamma geneticamente equilibrata, ma non socializzata, potrebbe insegnare ai propri figli a temere ed evitare l’uomo.
Per questo motivo non andrebbero MAI messe in riproduzione femmine timide, paurose o addirittura fobiche, mentre spesso si sente suggerire ai proprietari di cagne con questo tipo di problemi di “far fare loro una cucciolata, che sicuramente migliorerà il loro carattere”.
E’ un suggerimento assurdo e pericolosissimo, perché non solo il parto non aiuta affatto la cagna a superare i propri problemi, ma si rischia di avere un’intera cucciolata che li manifesta “per imitazione”.

• La causa in assoluto più frequente di fobie è la deprivazione sensoriale: con questo termine si intendono tutte le carenze (umane, quando si tratta di cani allevati dall’uomo; ambientali, se si tratta di cuccioli nati in condizioni di randagismo o peggio ancora di cani ferali) in fase di stimolazione ambientale, impregnazione (vedere questo articolo per saperne di più) e/o socializzazione.
I cuccioli che non hanno ricevuto alcuno stimolo ambientale (esattamente come i bambini umani nelle stesse condizioni) saranno quelli più difficili (e talora impossibili, purtroppo) da trattare: ma di questi è inutile parlare, visto che sono casi strettamenti riservati ai professionisti (pure bravi, altrimenti falliscono pure loro. E a volte falliscono anche se sono bravi).
Per chi intende adottare un cane, i cuccioli totalmente deprivati (per quanta tenerezza possano fare) sono semplicemente da evitare.
Spesso hanno addirittura carenze neurologiche e non sono comunque alla portata né di una normale famiglia, né di un normale educatore/rieducatore.
Possiamo però considerare “deprivati” anche i cuccioli che hanno avuto normali stimolazioni ambientali, ma che non hanno ricevuto una corretta impregnazione sull’uomo e/o una corretta socializzazione nei primi mesi di vita.
Qui bisogna distinguere: se un cane è stato impregnato sull’uomo, ma gli è mancata una corretta socializzazione – che andrebbe effettuata dai due ai quattro mesi di vita – rimane ancora un margine di recupero discretamente ampio. Invece la mancata impregnazione è irreversibile: il cane non riconosce l’uomo come conspecifico (o come membro del suo gruppo sociale, se preferite) e quindi ne ha paura.
Questo non significa che sia “irrecuperabile”: però significa che andrà approcciato e trattato più come un lupacchiotto selvatico che come un vero e proprio “canis familiaris”.
La storia e l’etologia ci insegnano che anche gli animali totalmente selvatici, anche non imprintati/impregnati, possono imparare ad amare l’uomo e a fidarsi di lui: ma bisogna letteralmente “addomesticarli”, perché un cucciolo non impregnato equivale in tutto e per tutto ad un animale selvatico.
La cosa richiede solitamente tempi lunghi, ma è fattibile: anche se, solitamente, il cane diventerà un cane (apparentemente) “normale” solo all’interno della sua famiglia e del suo habitat quotidiano: con gli estranei potrebbe rimanere molto timido (oppure aggressivo per autodifesa) per tutta la vita.

IMPORTANTE: ci sono allevatori (alcuni alle prime armi, altri anche esperti e famosi…), che senza neppure rendersene conto creano cuccioli parzialmente deprivati solo perché pensano che bastino la loro famiglia e i loro cani per una corretta impregnazione e socializzazione. Purtroppo non è così. I cuccioli vanno sottoposti a stimoli più vari possibile, ma soprattutto devono ricevere questi stimoli in ambienti diversi. Vanno, insomma, portati al di fuori del loro habitat (l’allevamento), per vasto e vario che esso sia: perché i cani si costruiscono sempre due forme mentali separate tra ciò che è il luogo natio e ciò che rappresenta l’ambiente esterno, il mondo “fuori dalla tana”, l’”outdoor”. Per questo devono venire a contatto con odori nuovi, oggetti diversi, persone di ogni genere (uomini, donne, bambini, persone di colore, persone in divisa…), animali di vario tipo, il tutto in luoghi diversi. Specie quando la genetica non è proprio il massimo della vita, impregnare/socializzare i cuccioli solo in allevamento può lasciare lacune più o meno serie, ma sempre difficilmente colmabili: e il problema sarà tanto più grave quanto più l’”indoor” sarà limitato. Un cucciolo vissuto sempre in un box sarà terrorizzato da tutto; quello che invece ha avuto a disposizione ampi recinti, sguinzagliatoi, spazi e superfici diverse sarà più facilmente adattabile al mondo esterno… ma dovrà comunque subire un processo di adattamento che invece non comporta alcuna fatica per i cuccioli che, al momento giusto (e cioè a partire dalle sette/otto settimane), hanno avuto modo di sperimentare il “mondo di fuori”.

• Un’altra causa abbastanza diffusa di sociopatia interspecifica è l’adozione di cuccioli troppo piccoli.
Di solito i cuccioli presi a meno di 60 giorni manifestano soprattutto sociopatie intraspecifiche, ovvero problemi con gli altri cani: ma intacca anche i rapporti con l’uomo, per esempio, la mancata presa di coscienza del concetto di “distanza di sicurezza”, che i cuccioli scoprono più o meno dalla quinta alla settima settimana di vita, solitamente ad opera del padre.
Oltre ad imparare a non superare questa distanza quando un altro cane è in possesso di una risorsa, infatti, i cuccioli imparano anche a non allarmarsi quando altri individui si mantengono entro certi limiti spaziali.
Se manca loro questa cognizione, i cuccioli si sentiranno costantemente in pericolo quando un estraneo (cane o persona che sia) entrerà nel loro campo visivo: quindi cominceranno a manifestare segnali di paura (guaiti, tremori o addirittura urla strazianti!) che normalmente vengono intesi al volo dagli altri cani (che quindi si allontanano), mentre inducono immancabilmente gli umani a volare verso il cucciolo per “soccorrerlo” o “consolarlo”.
Così il piccolo verrà preso in braccio, toccato, pacioccato… e lui, che essendo in preda al panico non è assolutamente in grado di distinguere una coccola da un’aggressione, penserà di aver avuto tutte le ragioni del mondo nel sentirsi terrorizzato.
Questi cuccioli, da adulti, potranno facilmente diventare sia fobici che aggressivi.
Se il cucciolo viene preso prima dei 45 gg non è completa neppure la sua impregnazione sull’uomo e questo potrà causare problemi gravissimi qualora entri in una famiglia che tiene il cane isolato dal “branco” umano: se invece vivrà a stretto contatto con gli umani, la sua impregnazione verrà correttamente completata nella nuova famiglia e almeno questo problema non si presenterà.

• La causa in assoluto meno comune di fobie, contrariamente a quanto si pensi, sono le esperienze traumatiche pregresse.
La stragrande maggioranza delle persone, di fronte a un cane impaurito o fobico, deduce automaticamente che “sia stato maltrattato”. Questo è vero solo in alcuni casi, anche se sembra strano e se è sicuramente difficile da capire.
Il fatto è che il cane è quasi incapace di generalizzare: se lo fa, lo fa solo parzialmente (per esempio, un cane maltrattato da un padrone con la barba potrebbe aver paura, in futuro, di tutti gli uomini con la barba, ma dimostrarsi tranquillo ed amichevole con le donne e con i maschi glabri) e comunque le esperienze negative devono essere state diverse, continuative e particolarmente traumatiche. “Un” solo calcione preso da un uomo con la barba di solito non comporta alcun trauma permanente: cinque-sei incontri con uomini con la barba violenti potrebbero invece segnare il cane… ma l’evenienza non è poi così probabile, e comunque è molto raro che il trauma risulti davvero indelebile.
La prova di quanto sto affermando la si trova nelle migliaia di cani ex maltrattati e/o abbandonati che si possono trovare in canile e si rivelano amichevoli, collaborativi e privi di qualsiasi timore nei confronti degli umani: alcuni di essi possono risultare diffidenti, ma quasi sempre si “aprono” in tempi brevi e senza particolari difficoltà (purché non si sbagli l’approccio).

ATTENZIONE: diffidenza e paura sono due cose molto diverse, che non vanno confuse. Un cane che ha avuto esperienze traumatiche – non essendo uno stupido – mostrerà quasi sempre una diffidenza più o meno vistosa verso gli sconosciuti… ma la parola chiave è proprio questa: “sconosciuti”. Non appena avrà modo di valutare le nuove persone che lo circondano e di capire che sono innocue, il cane comincerà a fidarsi di alcune di esse… e in un lasso di tempo più o meno breve concederà questa fiducia all’umanità in senso lato. In questo caso il cane effettivamente sembrerebbe capace di generalizzare: ma non è proprio così. Il fatto è che la sua natura di animale sociale gli impone – letteralmente – di cercare contatto e rapporti con figure diverse da lui, nel tentativo di creare un “branco”. Come vedremo, questo fattore potrà essere sfruttato a nostro vantaggio per superare la diffidenza e anche le forme meno gravi di sociopatia.
COME AFFRONTARE DIFFIDENZA, TIMIDEZZA, FOBIE DI VARIO GRADO

Il primo step consisterebbe, ovviamente, nel riuscire ad inquadrare esattamente il tipo di problema. Purtroppo questo non è sempre possibile.
Quando la storia del cane ci è nota, ovviamente, è tutto più facile: l’errore da non commettere è solo quello di pensare sempre al maltrattamento come causa prima, quando in realtà esso potrebbe essere del tutto ininfluente.
A questo devono stare attenti soprattutto i volontari di canile, o coloro che adottano un cane abbandonato: se si è a conoscenza di un maltrattamento precedente, infatti, viene naturalissimo pensare che il problema stia tutto lì… e la successiva convinzione sarà quella che basti dargli il famoso “tanto ammmmore“ per risolvere tutto.
In realtà può succedere che il cane non sia affatto pauroso perchè ha subito maltrattamenti (anche quando li ha davvero subiti), ma perché non è stato correttamente impregnato: e siccome, come abbiamo visto, l’impregnazione ha un tempo limitatissimo (dalla quarta alla settima-ottava settimana di vita), dopodichè non ha più nessunissimo effetto… ecco che potremo passare la vita intera a coccolare questo cane senza ottenere il minimo miglioramento.
Certamente lui arriverà, prima o poi, a fidarsi di noi: ma solo per abituazione. Perché, a forza di dagli e ridagli, si sarà convinto che i membri della sua famiglia non rappresentano un pericolo.
In compenso, ogni volta che vedrà una persona estranea, questo cane filerà a nascondersi sotto il divano (o in equivalenti “tane”) e rifiuterà di uscire finché l’intruso non se ne sarà andato.

Qual è, invece, l’alternativa corretta per un cane non impregnato, o scarsamente impregnato?
E’ quella di non coccolarlo, non parlare con lui, non filarselo proprio… finché non sarà lui a cercare il contatto.
E lo farà, prima o poi, perché – come abbiamo visto sopra – è obbligato a farlo dalla sua natura di animale sociale.
Solo a questo punto la sua ricerca di attenzioni dovrà essere gratificata con qualche carezza, con del cibo, insomma con una dose di quell’amore che dobbiamo dargli, sì… ma non imporgli, perchè lui ne sarebbe spaventato anziché gratificato.
Deve essere sempre LUI a venirlo a cercare. E una volta che l’avrà trovato da noi, oplà! Si dovrà cambiare persona.
Più e più volte.
Una volta esauriti i membri della famiglia si dovrà passare ad amici, parenti, conoscenti: tutti perfettamente “addestrati” ad ignorare il cane fino a che non è lui ad avvicinarsi.
Attenzione anche a non rifilargli quelle che io chiamo “terrificoccole”: ovvero urletti di gioia, pacche sulla testa, manifestazioni esagerate di affetto, che lui vivrebbe come eventi spaventosi e che lo farebbero regredire brutalmente.
Il cane va sempre approcciato con calma serafica, sfiorato appena sotto la gola o sulle guance (mai in testa e nemmeno sul dorso, almeno per le prime volte); quando lo si premia col cibo, per le prima volte non dovremo aspettarci che lo prenda dalla nostra mano, ma dovremo lanciarlo a una certa distanza (quella che riteniamo sia per lui una buona “distanza di sicurezza” – per individuarla basta vedere a che distanza si pone lui da noi quando ci sta ancora “studiando” - e che diminuiremo progressivamente nel corso delle successive lezioni).
Il lavoro di recupero di un cane non impregnato può durare anche diversi mesi e richiede pazienza infinita, perché i regressi saranno numerosi e frustranti. Ma non si deve demordere.
Ricordiamolo sempre: è come avere a che fare con un lupo, ovvero con un animale selvatico e NON con un cane normale.

Come affrontare la diffidenza o una leggera timidezza verso l’uomo
Se riteniamo che il cane sia fondamentalmente sano ed equilibrato, ma che la sua diffidenza sia dovuta esclusivamente ad esperienze sgradevoli (non troppo traumatiche: per quelle davvero traumatiche conviene affidarsi alla desensibilizzazione progressiva), ci sono due strade: una più lenta (e sicuramente più consigliabile, a meno che non ci si trovi in assoluta emergenza) ed una più veloce, ma che comporta alcuni rischi.
La strada lenta consiste nell’abituazione/desensibilizzazione guidata: una volta ottenuto che il cane si leghi ad una figura guida (e ci si riesce sempre piuttosto in fretta), questa dovrà rappresentare il suo tramite verso tutte le altre.
Ovviamente l’umano dovrebbe essere abbastanza esperto da sapere come, quando, quanto far approcciare al cane persone nuove: ma anche un neofita, se dotato di sufficienza pazienza, può farcela. Lo dimostra il percorso che stanno compiendo Mario ed Afra: se cercate “Io e Afra” sul motore di ricerca di questo sito troverete tutta la loro storia a puntate (è ancora un “work in progress” , ma abbastanza avanzato da poter vedere i primi progressi).
La strada più rapida, ma molto più rischiosa, è quella del cosiddetto “flooding”, letteralmente “inondazione” (di stimoli): operazione indubbiamente traumatica per il cane, ma capace, in alcuni casi, di risolvere drasticamente e molto rapidamente il problema della diffidenza dell’eccessiva timidezza.
In pratica il cane va sottoposto ad una vera e propria “overdose” di coccole, di presenze umane, di mani che lo accarezzano e così via.
In diverse famiglie che adottano cani diffidenti o timidi si pratica un flooding del tutto inconsapevole nel momento in cui il cane viene “dato in pasto” ai bambini di casa: a volte (per fortuna) funziona, altre volte succede un patatrac.
In realtà il flooding andrebbe sempre e solo effettuato da persone più che esperte, in condizioni di assoluta sicurezza (perché il cane può anche reagire aggressivamente) e tenendosi prontissimi a sospendere ed annullare il tutto qualora il cane mostrasse segni di depressione (che è una delle possibili conseguenze del flooding).
Insomma, non è una cosa da “provare tanto per”, e tantomeno da prendere alla leggera.

La vera e propria fobia
A meno che non sussistano problemi organici (nel qual caso l’unica terapia possibile sarà quella farmacologica), un cane realmente fobico nei confronti degli umani è quasi immancabilmente un cane deprivato.
Le conseguenze della deprivazione sociale sono stati così classificate da Pageat:

Primo stadio: fobie ontogenetiche. Il cane ha paura di tutto ciò che non ha conosciuto nei primi mesi di vita.
Solitamente lo stimolo che scatena la paura, all’inizio, è soprattutto uno: può trattarsi dei bambini, degli umani di un solo sesso, delle persone su sedie a rotelle o con le stampelle (in questo articolo ci occupiamo solo di paura dell’uomo, ma i cani deprivati possono manifestare fobia anche verso oggetti, come per esempio le automobili, o animali).
Se non si interviene prontamente a questo stadio (con la desensibilizzazione progressiva o il controcondizionamento, v. sotto), il cane solitamente comincerà ad ampliare i propri timori.
Per esempio, un cane che ha paura dei bambini si limiterà dapprima ad evitare il contatto diretto, poi rifiuterà di avvicinarsi all’area del parco riservata ai giochi, poi potrebbe mostrare timore verso l’intero parco, infine potrebbe addirittura aver paura di uscire di casa, anticipando nella sua mente l’eventualità di un incontro con i suoi “mostri” personali.
Non ci si deve illudere che una fobia ontogenetica “prima o poi passi da sola”: anche se in alcuni casi è così, il rischio che invece il cane peggiori è altissimo e quindi non lo si può sottovalutare.

Secondo stadio: ansia generalizzata. Il cane vive in un costante stato ansioso e manifesta un particolare modo di esplorare le cose nuove che identifica proprio la sua appartenza a questo stadio: si chiama “esplorazione statica” e consiste nel non avvicinarsi allo stimolo ma nel restare immobile, irrigidito (e a volte tremante) e nell’allungare soltanto il collo per riuscire a percepire l’odore della persona sconosciuta (anche in questo caso può trattarsi sia di persone che di oggetti o animali).
Un altro sintomo classico (che si riscontra anche nelle persone autistiche) è il bisogno di rituali, di routine sempre identiche a se stesse, che possono scatenare veri attacchi di panico qualora vengano interrotte o modificate.
Un ulteriore sintomo può essere rappresentato dai ripetuti leccamenti di specifiche parti del corpo (di solito le zampe o i fianchi: si inserisce spesso in questa patologia la sindrome da suzione del fianco tipica del dobermann).
Se non si interviene, il cane può rimanere per anni in questo stadio (a volte ci resta per tutta la vita), oppure peggiorare ulteriormente fino ad arrivare al terzo stadio.
Poiché la curiosità del cane affetto da ansia generalizzata è ancora viva e attiva (anche se parzialmente inibita), la cosa migliore da fare è stimolarla (sempre senza forzatura alcuna), facendogli capire che ad ogni sua nuova esplorazione corrisponderà qualcosa di piacevole: coccole, cibo, gioco (se il cane accetta ancora di interagire in modo ludico).
Gradualmente si cercherà di convincerlo ad abbandonare l’esplorazione statica e a trasformarla in esplorazione dinamica, ovvero a trovare il coraggio di avvicinarsi alla persona sconosciuta camminando verso di lei e non soltanto irrigidendosi e allungando il collo.
Anche se può sembrare crudele, per salvare un cane da questo stato patologico l’arma migliore di cui disponiamo è quella della fame: dopo un giorno di digiuno lo stimolo del cibo invoglia molti soggetti a fare quel meraviglioso “primo passo” (in senso letterale) che segna l’inizio della guarigione.
I cani che manifestano ansia generalizzata, ma che hanno comunque un buon rapporto con i proprietari (attenzione a non confondere un buon rapporto affettivo e di fiducia con le manifestazioni di attaccamento morboso che spesso sono a loro volta un sintomo di ansia), possono trarre giovamento anche dalla “routine del buonumore” descritta da Campbell… e curiosamente “reinventata”, magari con nomi alternativi, da alcuni degli attuali “guru” della cinofilia. Ma sempre di quella si tratta.
Se non ricordate cos’è e come funziona (è molto semplice e anche divertente!) vi rimando a questo articolo, nel quale ne abbiamo parlato in modo piuttosto approfondito.

Terzo stadio: stato depressivo. Il cane non prova più nessun interesse per nessuno stimolo, ma reagisce chiudendosi in se stesso e a volte scegliendosi una “tana”, un nascondiglio dal quale non uscirà fino a quando lo stimolo non si sarà allontanato.
Nei casi più gravi il cane amplia la sua fobia al mondo intero e quindi rimane costantemente rintanato, arrivando addirittura al punto di orinare e defecare all’interno dello spazio che si è scelto perché neppure la sua naturale pulsione verso la pulizia riesce a fargli superare il terrore del mondo esterno.
Non si dovrebbe mai permettere che il cane raggiunga questo stadio: quando il cane vive con noi, bisogna assolutamente intervenire prima.
Purtroppo diversi cani in depressione totale si incontrano nei canili, o perché sono arrivati già così o perché nessuno ha avuto modo di accorgersi dei sintomi degli stadi precedenti (o, se li ha visti, non ha avuto modo di affrontarli con un’adeguata terapia: ai volontari spesso il tempo non basta neppure per pulire e sfamare i cani, e tutto il resto viene forzatamente lasciato indietro).
Qui apro una parentesi per i volontari che avessero tra i propri ospiti un cane di questo tipo: sappiate che non c’è alcuna speranza che un cane a questo stadio possa “rinascere” solo con le attenzioni e l’amore di una famiglia.
Il recupero (ammesso e non concesso che si riesca ad ottenere, perché se il cane è in questo stato da lungo tempo l’impresa potrebbe rivelarsi impossibile) va effettuato solo da persone espertissime e richiede tempi lunghissimi.
Poiché l’adozione di questi soggetti è comunque difficile (anzi, è sconsigliabile per la maggior parte delle “persone normali”, che finirebbero per deprimersi anche loro, anziché aiutare il cane), sarebbe molto meglio che venissero tenuti tranquilli, lontano dal via vai dei visitatori ed approcciati soltanto da quel volontario o da quei volontari a cui il cane ha concesso la propria fiducia (e di solito almeno uno c’è, sempre per il solito motivo. Il cane non riesce a vivere da animale solitario, neppure quando è depresso).
Il cane fobico al terzo stadio non è “sicuramente irrecuperabile”, ma non è neppure adottabile dalla prima Sciuramaria che passa: quindi queste NON sono adozioni da spingere, non sono “adozioni del cuore”, sono adozioni da cinofili di grandissima esperienza e dotati di competenze di altissimo livello. Se non appare all’orizzonte una di queste persone, è inutile sottoporre il cane a stress inutili solo per commuovere i visitatori. Meglio cercare una sistemazione il più possibile priva di stress e, quando è possibile, tentare di iniziare un percorso di recupero (che sarà molto simile a quello dei cani al secondo stadio, ma che si rivelerà molto più complicato… e molto frustrante) solo dalle persone di cui il cane già si fida, eventualmente sotto la guida di un bravo comportamentalista (che potrà anche valutare l’evetuale prescrizione di farmaci). Dopodiché… se accadrà il miracolo, potremo gioie: ma se non dovesse accadere, se non altro il cane vivrà una vita che non potremo certo definire “felice”… ma almeno “passabile” sì.

L’ ADDESTRAMENTO: SI’, MA SOLO PER ACCRESCERE SICUREZZA E AUTOSTIMA
Fin qui non ho minimamente parlato di “addestramento” dei cani con sociopatie più o meno accentuate: il che forse suonerà strano a chi mi conosce come addestatrice.
In realtà un percorso di addestramento mirato è sempre prezioso per aiutare a risolvere questo tipo di problemi: l’importante è capire che da solo NON BASTA, perché prima (ma anche contemporaneamente, specie nei casi meno gravi) bisogna sempre procedere con la terapia comportamentale propriamente detta.
Inoltre l’addestramento non deve assolutamente avere lo scopo di vincere qualche coppa, ma dev’essere considerato come parte integrante della terapia (almeno finché il cane non è perfettamente a posto: poi potete anche andare ai mondiali, se volete!), quindi dovrà essere mirato soprattutto alla costruzione di un rapporto più solido tra cane e proprietario, nonché al miglioramento dell’autostima e della sicurezza del cane, che saranno assolutamente fondamentali per la sua completa guarigione (un cane sicuro di sé e convinto di essere uno strafigo non ha paura di nulla).
Per tutti questi motivi è fondamentale scegliere il campo giusto e le persone giuste: se l’istruttore non comprende lo scopo per cui si sta lavorando, e se pensa solo alle performance sportive, sarà tutto lavoro sprecato.

GLI ALTRI CANI
La vicinanza di un cane equilibrato e ben socializzato può essere di grande aiuto nei casi di sociopatie: bisogna però scegliere con molta oculatezza il partner. Va benissimo affiancare un adulto equilibrato ad un cucciolo pauroso: NON si deve invece affiancare assolutamente un cucciolo equilibrato ad un adulto fobico, perché c’è il grosso rischio che sia il cucciolo ad imitare l’adulto e non viceversa. Purtroppo mi è capitato molte volte di incontrare casi in cui, sperando di aiutare un cane, se ne sono rovinati due.

TERAPIA FARMACOLOGICA
Come tutti i miei lettori avranno ormai capito, personalmente sono contraria all’utilizzo di psicofarmaci laddove non esista un problema organico. La psiche di un cane, a mio avviso, si può affrontare solo con la terapia comportamentale, per un motivo molto semplice: il cane NON è complicato come un umano e i suoi stati mentali sono piuttosto lineari.
Ciononostante, alcuni casi si rilevano veramente difficili da affrontare per persone che non dispongano di esperienza e competenze veramente di altissimo livello: quindi, quando ci si trova di fronte a un caso di depressione profonda, ritengo che un uso mirato (e NON un abuso!) di farmaci psicotropi possa rendersi necessario. L’importante, però, è che si faccia uso di questo mezzo per aiutare davvero il cane, e non il proprietario. Lo psicofarmaco deve essere un ausilio, non una scorciatoia: può rendere meno ostico il lavoro di terapia comportamentale (specie se chi lo affronta non è preparatissimo), ma non lo potrà mai sostituire e non dovrà mai essere considerato come una “stampella” per proprietari frustrati.

METODOLOGIE (spiegazione dei termini):
• Abituazione. Consiste nella ripetizione continua dello stimolo in modo da eliminare la reazione associata. Per esempio: il cane scappa a nascondersi terrorizzato quando la vicina di casa esce di casa? Facendo andare avanti e indietro la vicina per decine e decine di volte, il cane alla fine si renderà conto della sua innocuità e smetterà di avere una reazione fobica.

• Controcondizionamento. Consiste nell’addestrare il cane ad eseguire un altro comportamento diverso da quello indesiderato. Per esempio: il cane abbaia ogni volta che suona il campanello? Lo si abitua ad andare a prendere la pallina e ci si mette a giocare con lui ogni volta che sente quel suono. Dopo qualche tempo il suono spingerà il cane ad andare a cercare la palla, anziché ad abbaiare.

• Desensibilizzazione. E’ l’esposizione ripetuta e graduale allo stimolo che provoca una risposta negativa, iniziando dalla distanza alla quale lo stimolo non produce alcuna risposta e diminuendola progressivamente. Per esempio: il cane comincia ad agitarsi quando vede una persona estranea a cinquanta metri? Gli si faranno vedere persone inizialmente a 50 metri, finché non sarà subentrata l’abituazione a quella distanza; poi si passerà a 45 metri, e di nuovo si resterà lì fino alla scomparsa della risposta; poi si passerà a 40 metri, e così via fino ad ottenere che il cane rimanga tranquillo anche quando la persona estranea gli passa a fianco.
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Come gestire aggressività Empty MIo cane mi ha ringhiato e adesso ho paura di lui

Messaggio  karanuker Mar Gen 29, 2013 9:19 am

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Il mio cane mi ha ringhiato e adesso ho paura di lui

di VALERIA ROSSI – Una lettrice mi scrive (copio testualmente): “Cara Valeria, vorrei sapere se hai mai scritto un articolo o un libro sui “neopadroni” (non mi vergogno di dire che ne faccio parte, addirittura prendendo come primo cane un Pastore Tedesco maschio) che, per incompetenza e non conoscenza, perdono la fiducia nei loro cani ed al primo ringhio, presi dalla paura, lasciano perdere ciò che stavano facendo, rinforzando l’atteggiamento negativo del cane e mandandolo in confusione, con il risultato che non riescono nemmeno a curarlo per una semplice ferita“.
Quando ho risposto, scherzando, che un libro mi sembrava un po’ eccessivo, lei si è stupita: “Perché no? – mi ha scritto – Sono tre anni che ho un cane ed ho conosciuto tantissime persone che, si vergognano a dirlo, ma non capiscono il loro cane e ne hanno paura, per cui preferiscono far finta di niente ed al bisogno si “seda” il cane dal veterinario“.
Non ho osato chiederle cosa intendesse per “sedare” tra virgolette: non glielo chiedo, perché entrambe le ipotesi possibili (psicofarmaci o eutanasia) mi sembrano ugualmente drammatiche.
Quasi contemporaneamente a questa email, un’altra ragazza mi chiede su Facebook se posso consigliarle un bravo comportamentalista che possa suggerire gli psicofarmaci adatti all’anziana – e mordace – cagnetta di sua madre, concludendo con queste parole: “Magari la cagnolina finirà per essere rimbambita, ma almeno sarà viva e in famiglia”.
Ci ho quasi “litigato”, perché le ho risposto decisamente ringhiando: poi mi sono resa conto di aver esagerato e ci siamo chiarite, ma ormai sono davvero ipersensibile quando sento discorsi di questo tipo. Anche perché penso che molta gente non si renda conto di cosa significhi davvero “cane rimbambito dagli psicofarmaci”.

Prossimamente pubblicherò alcuni video MOLTO esplicativi: purtroppo per ora non li ho ancora disponibili (sono stati pubblicati su FB e non è possibile “prelevarli” da lì), ma posso provare a descrivervi l’ultimo, che riguarda un border collie mordace trattato a fluoxetina e valeriana dispert.
Avete presente uno zombie? Ecco, il cane è pressapoco in questo stato. Completamente apatico, rigido sulle zampe, si muove come un cane di quattordici-quindici anni (ne ha tre).

Le foto (che in realtà sono frame tratti dal video) non rendono bene l’idea, ma forse potrete cominciare a capire se vi dico che il video… è praticamente una foto prolungata nel tempo: perché il cane è sempre immobile, con lo sguardo vitreo. Segue i movimenti della telecamera soltanto con gli occhi, senza neppure voltare la testa: e la cosa più drammatica è che, se l’operatore si avvicina troppo, diventa ugualmente aggressivo.
Dopo aver visto immagini come questa, si potrebbe pensare che qualsiasi persona dotata di un minimo di sensibilità inorridisca al solo pensiero di utilizzare gli psicofarmaci sul proprio cane: invece NO. I proprietari di questo cane sono contenti così, perché il loro problema è stato risolto: il border non parte più per andarli ad aggredire (lo credo: non ne ha la forza), e a loro basta non andargli troppo vicino per “vivere tranquilli”.
Il pensiero di aver trasformato un animale vivo, vitale, dinamico ed atletico in una sorta di pupazzo (poco) animato non li turba minimamente: il cane è vivo, non sono stati costretti a ricorrere all’eutanasia, quindi va tutto bene. La mia domanda, ovviamente, è: “Si può definire VITA, questa?”.
La risposta la lascio alla sensibilità e alla coscienza di ciascuno.

Ma torniamo al problema iniziale, quello che sta alla base di queste atrocità: il cane che diventa aggressivo verso i familiari. Non importa che morda davvero o che minacci soltanto di farlo: quando scatta la paura, la gestione diventa quasi impossibile in entrambi i casi.
Purtroppo le possibili reazioni alla paura del proprio cane seguono un iter abbastanza preciso: e la prima reazione è proprio quella citata dalla lettrice, la vergogna.
L’umano fatica moltissimo ad ammettere di aver sbagliato qualcosa (specie se non ha mai maltrattato il suo cane ed è convinto di avergli “dato tutto”, frase che ricorre spessissimo quando vengono raccontati questi episodi).
La parte del leone, ovviamente, la fa la retorica del cane “buono e fedele, che accetta anche le botte leccandoti la mano”: questa immagine è talmente scolpita nell’immaginario collettivo che la maggior parte delle persone – specie quelle che sono al loro primo cane – si sentono in qualche modo “tradite”.
Non sono capaci di accettare che un cane che NON ha mai preso alcuna botta – e che quindi dovrebbe essere doppiamente riconoscente! – possa provare sentimenti diversi dalla totale devozione e dalla cieca fedeltà.
In due parole: non riescono ad accettare che il cane sia un essere vivente senziente e pensante al quale, come a qualsiasi altro essere vivente, un bel giorno possono anche girare le palle.
Se il cane ringhia – o peggio, morde – dev’essere successo qualcosa di gravissimo: ma siccome è sempre stato trattato con i guanti, la responsabilità non può essere dei proprietari. Dev’essere per forza LUI che ha qualcosa che non va (e così ci si scarica anche la coscienza).
Siccome l’unica spiegazione sembra essere quella della malattia, si corre dal veterinario: e qui i possibili casi sono due. O si becca il celeberrimo comportamentalista, che in nove casi su dieci ammolla subito gli psicofarmaci (con i risultati visti sopra), oppure si trova il veterinario “normale” che suggerisce, saggiamente, di far vedere il cane da un educatore, perché il problema è palesemente legato alla cattiva gestione del cane. Difficilmente il veterinario lo dirà in faccia ai clienti, però: perché quando si dice a una persona “guarda che hai sbagliato tutto”, la reazione è immancabilmente di rifiuto e di offesa.
Il proprietario del cane, che nella stragrande maggioranza dei casi AMA davvero moltissimo il suo animale, è profondamente convinto di avergli dato il meglio: amore, cibo, coccole, gioco, passeggiate. Cosa potrebbe volere di più, un cane?

E qui, proprio, qui, sta il punto chiave. Perché il cane vuole delle REGOLE. Il cane vuole essere guidato, vuole qualcuno a cui affidarsi con fiducia, vuole il famoso leader, l’ormai famigerato “capobranco”, termine che sembra essere diventato una parolaccia, ma che rendeva tanto bene l’idea e che – se spiegato nel modo giusto – convinceva i proprietari ad assumere il giusto ruolo di comando in famiglia. Io sono sinceramente quasi nauseata a forza di ripetere che “capobranco” NON è sinonimo di “violento maltrattatore”: ma lo ripeto ancora una volta, anche perché il dannatissimo Cesar Millan (che è effettivamente un violento) ha confermato questa associazione di idee nella mente dei suoi spettatori televisivi. Quindi, ribadiamolo: il capobranco non è uno che impicca i cani o che li prende a calci (anche se bisogna pur dare a Cesar quel che è di Cesar, ammettendo che in certi casi – purtroppo NON in tutti – questi suoi atteggiamenti sono motivati dal fatto di avere a che fare con cani fortemente aggressivi, con i quali la legittima difesa è indispensabile). Il capobranco è la figura-guida, quella che dà le regole (e che può darle in modo gentilissimo) e soprattutto che le fa rispettare, sempre e comunque, sfoderando la dote principale di un capo che si rispetti: la coerenza.
Molti proprietari si ritrovano ad affrontare un conflitto serio con il proprio cane solo perché non riescono a stabilire delle routine.
Spesso di parla delle famose “regolette gerarchiche”: non salire sul letto, non passare per primo dalle porte, non mangiare per primo ecc. ecc., che oggi alcuni Guru della cinofilia sbeffeggiano, mentre altri sono già stati costretti a considerarne la validità (però gli hanno cambiato nome: oggi si parla di RSG, Regressione Sociale Guidata… e volete mettere quanto fa più figo?): ma non è neppure questo il vero problema. Il vero problema sta nel fatto che qualsiasi regola va seguita per sempre: il problema non sta nel fatto che al cane sia permesso di salire sul letto, quanto nel fatto che oggi gli sia permesso e domani no, e dopodomani di nuovo sì, e tra una settimana di nuovo no.
Il cane, in questo modo, va in confusione, non vi ritiene più “capi” affidabili e sicuri, ma pasticcioni che non sanno quello che vogliono. Quindi comincia a perdere il rispetto per gli umani di casa: e la prima volta che gli girano le palle, appunto, e che voi gli dite “giù dal letto!” quando lui invece ci sta comodo, vi fa vedere 42 denti.
A questo punto, normalmente, l’umano medio se la fa sotto (e non a torto, eh: specie quando il cane è di discrete dimensioni, la vista della sua “dentiera” spianata può far tremare le gambe anche a Rambo) e rinuncia a chiedere al cane di scendere dal letto. Così il cane scopre un’interessantissima novità: questi non solo sono dei pasticcioni inaffidabili… ma sono anche dei fifoni che puoi metterti in tasca con una ringhiatina.

A questo punto le cose, ovviamente, sono già precipitate: quindi si finisce dal veterinario, chiedendosi NON “cos’ho sbagliato?”, ma “cos’ha il mio cane che non va?”.
E arriviamo al punto a cui eravamo rimasti, ovvero al veterinario che (qualora non sia uno spacciatore di pillole rincoglionenti) suggerisce di recarsi da un educatore: dopodiché, i casi sono di nuovo due. O si finisce in mano a un vero professionista (e allora c’è ancora speranza), o si finisce in mano a un venditore di fumo: e allora siamo alla tragedia, perché costui probabilmente non avrà la minima idea di come affrontare il caso e finirà per rimandare (ancora una volta) i proprietari del cane dal veterinario: però, stavolta, sicuramente comportamentalista e spacciatore di pillole. E alla fine di questo circolo vizioso, il cane finirà o “bombato” di psicofarmaci a vita, oppure soppresso.
A dire il vero i casi sono tre… perché ci sono anche i proprietari che, stufi di mordersi la coda proprio come i cani, rinunciano (anche perché nel frattempo hanno subito un minisalasso economico) e si tengono il cane così com’è, diventandone di fatto i servitori e gli schiavetti.

Soluzioni alternative a questo drammatico stato di cose?
Be’, la prima è sicuramente quella di non arrivarci!
Il che significa che, anche se siete affascinati dal buonismo, dalla zooantropologia, dal cognitivismo e da tutto ciò che è attualmente di gran moda in cinofilia, dovreste tenere sempre ben piantato in testa (ma proprio col martello) il concetto che il cane ha bisogno di fermezza e coerenza. Non di urlacci, né di botte, né di “capottamenti” (ridicoli: a parte appunto Millan e qualche altro pirla rimasto indietro di centodue anni, nessun professionista ricorre a questi mezzucci che non sono neppure naturali, perché né i cani né i lupi “capottano” i loro sottoposti: quello che fanno è imporre la loro dominanza – psicofisica – convincendo l’altro che gli conviene manifestare sottomissione. Quindi è il sottomesso che si butta a pancia all’aria di SUA volontà, e non il dominante che ce lo butta).
Fermezza e coerenza significa “quel che è permesso oggi è permesso sempre, e viceversa”. Significa “quando è NO, è NO”: anche se ci provi centodue volte, per centodue volte io ti ripeto che quella cosa lì non è permessa (personalmente vanto un record – credo – di un’ora e venti passata ininterrottamente a ripetere “NO!” al mio staffy che voleva mangiarsi la mia borsa. Dopo un’ora e venti, lui accettò il fatto ineluttabile che avevo la testa più dura di lui, e quella borsa non la degnò mai più di uno sguardo in vita sua. Il tutto avvenne mentre io restavo seduta sul divano a leggermi il mio libro, dicendogli semplicemente NO! ad ogni suo allugamento di muso verso la borsa. Nessun urlo, nessuna sgridata e tantomeno nessuna sberla. Solo coerenza nel ripetergli che non gli era permesso mangiarsi la dannata borsa).
Un’altra cosa che non mi stancherò mai di ripetere è che il concetto di NO! non è un maltrattamento e non riduce certamente il cane a un robottino costretto ad obbedire: è soltanto un modo (chiaro e perfettamente comprensibile dal cane) per dare regole di civile convivenza, senza le quali si finisce quasi immancabilmente nei guai. Non è così scontato, perché ci sono anche cani (santi!) che non si ribellano mai e che convivono pacificamente con proprietari permissivi e mollaccioni: ma non tutti i cani sono dei santi, e anche i santi, sotto sotto, pensano “mi è toccato un cretino, pazienza: cerchiamo di andare ugualmente d’accordo”. In questi soggetti l’aspirazione al “quieto vivere” e all’armonia di branco è più forte di qualsiasi altra considerazione: quindi “sopportano” anche di avere un capo che, dal loro punto di vista, non vale una cicca… ma finché tutto fila liscio nella loro vita, non vedono perché far la fatica di metterlo in discussione.
Attenzione, però, perché la prima volta in cui il cane penserà – per esempio – che ci sia un pericolo da affrontare, o si troverà di fronte a qualcosa che vuole assolutamente fare anche se sa che non vi è gradita, potrebbe scattare il conflitto. Non è sempre possibile evitarli, anche se le teorie buoniste suggeriscono esattamente questo (se hai un problema, giraci intorno): e quando/se succede che il cane pacioso si ribelli, lo choc per gli umani è doppiamente forte e le conseguenze sono doppiamente problematiche.
Quindi, se volete dar retta a una vecchia cinofila che di cani ne ha avuti sotto mano una cinquecentina… ricordatevi che le filosofie buoniste vanno benissimo, che la partnership non coercitiva è una bellissima cosa, che rispettare i pensieri del cane è cosa assolutamente saggia…ma che il cane ha ugualmente BISOGNO di regole, di fermezza di coerenza.

E se siamo già arrivati al punto in cui cane vi ringhia e/o vi ha morso? Se voi avete già paura di lui?
In questo caso, la prima cosa che dovete fare è convincervi che “può succedere”.
Che non è un’anomalia né una mostruosa aberrazione, solo perché non coincide con la “retorica di Fido”. Può succedere e succede molto più spesso di quanto non pensiate. Non dovete sentirvi traditi, né tantomeno pensare di essere gli unici a cui è capitato un anti-Fido che invece di leccarvi le mani quando lo menate vi ringhia quando lo coccolate. Non dovete neanche pensare di avere un cane stronzo e carogna, pensiero che – magari nel fondo più fondo dell’incoscio – attraverso la mente di tutti i proprietari di fronte a un ringhio, o peggio ancora a un morso.
Convincetevi, anche, che il cane spesso non ha l’esatta cognizione dei danni che può fare mordendo la pelle umana (avreste dovuto insegnarglielo voi fin da cucciolo: ma in pochi lo fanno): spesso noi finiamo al pronto soccorso solo perché abbiamo una pelle di carta velina, ma il cane in realtà non aveva alcuna intenzione di massacrarci. Voleva solo dare una pinzata di avvertimento, o magari un morsetto giocoso. Non so a quanti di voi è capitato, ma il cane che morde, molto spesso, è quello che resta più choccato di tutti vedendo i risultati della sua azione: ci resta malissimo, non si capacita, a volte si dispera letteralmente.
Se fossimo in grado di liberarci dalla retorica del cane che non morde mai, a volte ci renderemmo anche conto che non esiste alcun vero problema, ma che c’è stato solo un fraintendimento. Un morso preterintenzionale, se così vogliamo chiamarlo.
Non è che lo si debba ignorare o farlo passar liscio, per carità: ma neppure va sopravvalutato facendone una tragedia.
A volte il rimedio è semplicissimo: basta far capire al cane che ha sbagliato e subito dopo impegnarsi in un bel programmino di regolazione del morso (se non è stato fatto all’epoca giusta).
Ma anche se il cane “voleva” effettivamente mordere e farvi un po’ male…sempre per liberarvi dalla solita retorica, pensate che anche il più pacioso, il più calmo, tranquillo e pacifista degli uomini, a un certo punto, può diventare aggressivo. Fate mente locale e ricordatevi del compagno di scuola, del collega (o magari di voi stessi!) a cui è successo di perdere la calma. Questa persona era forse pazza e necessitava urgentemente di psicofarmaci?
Credo proprio di no! Semplicemente, ha avuto un momento di giramento di palle.
Può succedere a chiunque di noi, quindi perché non al cane?
Quindi, per primissima cosa, cercate di inquadrare l’episodio nel suo contesto: chiedetevi perché è successo, cosa ha fatto scattare quella reazione. Chiedetevi anche se avete sbagliato qualcosa, senza per questo sentirvi degli imbecilli… perché guardate che capita, eh.
A chiunque e con chiunque, mica solo con i cani.
Mio figlio, una volta, quando aveva cinque anni mi ha sparato affanculo (l’aveva appena imparato all’asilo!). Gli ho spiegato, con le migliori maniere possibili, che questa non era una parola accettabile nei confronti della mamma.
Dopo una decina di giorni, nel corso di una discussione, mi ci ha rimandato con grandissima veemenza e con vera “cattiveria”: a quel punto si è preso un pattone sul sedere. E allora l’ha capita (ma non è che per questo i nostri rapporti si siano rovinati per sempre).


Tipico esempio di addestratore "cattivissimo" alle prese con una sua "vittima"...
Ecco: una volta contestualizzato a mente fredda l’episodio, senza far tragedie e cercando di capirne l’effettiva gravità, dovrete anche valutare le possibili reazioni.
Si può benissimo ottenere che “non succeda mai più” semplicemente “spiegando” al cane, in modo chiaro e comprensibile per la sua mente, che non siamo disposti a farci ringhiare né mordere. Quando il cane è rimasto mortificatissimo dalle conseguenze della sua azione, può benissimo darsi che questo sia sufficiente.
Se invece mostriamo paura, se gli giriamo alla larga, o peggio se ci precipitiamo ad accondiscendere ad ogni sua richiesta per paura che “ci rifaccia”… allora avremo preso la peggior china possibile, perché il cane si convincerà che il ringhio e/o il morso sono armi efficacissime da usare contro di noi.
In questo caso, checché ne dicano i buonisti disneyani, l’unica reazione davvero risolutiva è quella che ho avuto io al secondo vaffanculo del figlio. Ovvero, è assolutamente necessaria una correzione più convincente (che può andare dalla sgridata solenne al pattone sul culo: non serve certo mettersi a fare kung fu, né impiccare o strangolare il cane).
Solo che, buonisti o meno buonisti, molti hanno paura che il cane, di fronte a una reazione di questo tipo, morda in modo serio (anche perché è innegabile che un cane di quaranta chili metta un po’ più di soggezione di un bambino di cinque anni).
Se abbiamo questo timore, la cosa più giusta da fare è filare prima possibile NON dal veterinario, nè “normale” nè comportamentalista (perché un cane a cui sono girate le palle, o che ha pensato bene di poterci comandare a bacchetta, NON è forzatamente “malato” e quindi non ha bisogno né di un medico, né di uno psichiatra), ma da un addestratore professionista specializzato in casi di aggressività.
L’addestratore – checchè raccontino i cinofilosofi – NON è un torturatore di cani: è, appunto, un professionista che dovrà (e saprà):
a) spiegarvi per filo e per segno qual è il problema, identificandone anche l’effettiva gravità (che il proprietari sono SEMPRE, immancabilmente portati a moltiplicare per millemila);
b) spiegarvi per filo e per segno se lo ritiene risolvibile e come pensa di risolverlo.
A questo punto sarete voi a decidere se accettare o meno la terapia proposta. Se vi dice qualcosa tipo: “no problem, mo’ lo raddrizzo io a calci nel culo!” siete ampiamente autorizzati ad andarvene e a cercare qualcun altro. Ma un professionista capace e competente non vi dirà mai così: vi dirà invece quale percorso intende seguire per riportare il cane ad uno stato emozionale corretto. E voi potrete decidere se il percorso vi convince o meno.
Può darsi che vi si chieda di partecipare ad ogni step del programma, così come potrebbe darsi che vi si chieda di lasciare lì il cane e di tornare dopo qualche tempo: in alcuni casi l’allontamento dalla famiglia e dall’ambiente in cui si è instaurato il problema diventa quasi obbligatorio per arrivare alla soluzione. Con l’addestratore dovrete instaurare un rapporto di fiducia, quindi non dovreste mai avere l’angoscia dell’”oddio, chissà cosa gli farà quando non vediamo”.
Anche questi sono pregiudizi ridicoli: un professionista competente fa quello che deve fare. Fa quello che serve.
E il modo migliore per capire come lavora è parlare con altre persone che si sono rivolte a lui ed osservare i loro cani: se li vedete allegri, sereni, scondinzolanti e collaborativi, saprete che quella persona lavora in modo corretto ANCHE se in qualche caso deve usare una correzione (che non sarà mai data “per divertimento”, per il sadico gusto di fare del male al cane, ma perché è necessaria per il suo bene. Perché l’alternativa potrebbe essere quella di ritrovarsi un cane che non ha mai preso una pacca sul culo, ma che si riduce come il border collie delle foto sopra).


Altro crudelissimo addestratore che tortura il cane con l'attivazione mentale... (notare l'aria afflitta del cane!)
La bacchetta magica, purtroppo, non ce l’ha nessuno.
Ci sono cani recuperabilissimi “con le buone” e ci sono cani che hanno bisogno di interventi più decisi: esattamente come succede ai bambini.
Certo, è vero che un cane gestito in modo corretto fin dalla più tenera età non arriva praticamente MAI ad aver bisogno di interventi forti: se c’è arrivato, nove volte su dieci, è perché avete sbagliato qualcosa voi.
Però dovete convincervi che sbagliare non significa essere degli idioti, né dei falliti, né dei pessimi proprietari: si solito significa solo essere stati impreparati a un tipo di impegno che si riteneva più “leggero”.
E se c’è qualcuno ad avere davvero delle colpe, è la nostra società che continua a promulgare la retorica di Fido e che non si occupa MAI di fare vera cultura cinofila, a partire dalle scuole e arrivando alla TV, dove ci fanno vedere Millan o la Stilwell che (ognuno a modo suo) “recuperano” cani, ma nessuno si preoccupa di mostrarci come rendere un cane equilibrato e sicuro, senza nulla da recuperare.
Avere un cane aggressivo, o comunque un cane problematico, non è una “colpa”: non vivetela come tale.
E’ vero che avrete probabilmente sbagliato, ma non è un peccato mortale e non c’è niente di cui vergognarsi.
CREDETE fortemente a questa verità. Dopodiché, come fareste in qualsiasi altro campo della vostra vita, appoggiatevi alle persone giuste per risolvere un problema che si è rivelato più grande di voi.
Ora so già che qualcuno balzerà su a dire che “il cane è un essere vivente e non un oggetto”….ma sto per farvi dei semplicissimi esempi, senza sottintesi antietici o specisti. Gli esempi sono questi: se bucate una gomma e non siete in grado di cambiarla, chiamate l’ACI o vi scavate una fossa sotto la macchina per la vergogna? Se vi si rompe la lavatrice e si allaga la casa, chiamate un tecnico o cambiate casa e magari Paese per non ammettere di non saperla aggiustare?
Anche se il cane è un essere vivente – e per carità, nessuno si sogna di negarlo! – sta di fatto che la sua educazione è complessa e richiede conoscenze tecniche, più o meno come la lavatrice…con la differenza che nel caso di un essere vivente ci vogliono anche conoscenze etologiche, psicologiche e così via.
Insomma, il punto è questo: educare un cane non è facile ed esistono (molti) cani che non sono “alla portata di tutti”.
Purtroppo nessuno ce lo spiega mai (allevatori compresi, in molti casi) e quindi ci ritroviamo, a volte, ad affrontare qualcosa che si “è rotto” (il nostro rapporto) e che “non sappiamo aggiustare”.
Per fortuna, però, ci sono i tecnici, ed è a loro che ci si deve rivolgere.
E l’importante è scegliere quelli giusti, non quelli “di comodo” (ovvero quelli che tacitano la nostra coscienza e che ci offrono la pastiglietta magica per risolvere tutto), né quelli che ci vengono suggeriti dalla moda del momento.
Perché altrimenti è come chiamare il salumiere per aggiustare la lavatrice.
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Messaggio  karanuker Mar Gen 29, 2013 9:22 am

Asia Centrale non è un cane da appartamento, ma benissimo può distruggere tutto quello che trova nel giardino.


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Quando il cane resta da solo

Vorrei un cane, ma lavoro tutto il giorno…

Il mio cane, se lo lascio solo per qualche ora, mi distrugge la casa!

Il mio cane ha a disposizione un grande giardino, ma sembra sempre triste e annoiato…

Questi ed altri problemi, di cui tutti sentiamo spesso parlare, sono legati al fatto che il cane è un animale sociale…e l’uomo anche: ma purtroppo non è sempre possibile vivere nella stessa società.
E’ raro che sia possibile portarsi dietro il cane sul posto di lavoro; in alcuni casi è proprio vietato (se per esempio abbiamo un negozio di commestibili), in altri magari potremmo, ma ci tocca dividere lo stesso ufficio con persone non cinofile.
In altri casi ancora siamo noi a doverci spostare,visitare persone, vedere gente sempre diversa che potrebbe non apprezzare le effusioni di un cane esuberante.
Così, mentre gli americani hanno addirittura inventato “la giornata del cane in ufficio”, nel nostro Paese il nostro orario di lavoro coincide spesso con lunghe ore di solitudine per il cane di casa.
Che fare, allora?
Rinunciare alla sua compagnia?
No, non è necessario.
Vediamo di rispondere alle più frequenti domande su questo tema.

Si può prendere un cane se si lavora fuori casa otto ore al giorno?

Si può, purché si scelga il cane in base alle sue caratteristiche e non solo in base al nostro gusto estetico. Se ci piace il dobermann, per esempio, scordiamoci di prenderne uno da lasciare molte ore da solo, perché morirebbe di malinconia. Un husky, al contrario, troverà mille cose da fare in nostra assenza e quasi non noterà che non ci siamo (pur essendo felicissimo di rivederci al nostro ritorno).
Vanno evitate tutte le razze note per il loro morboso attaccamento al padrone (come dobermann, boxer e molossoidi in generale, cani da pastore conduttori del gregge), scegliendone una più indipendente (cani nordici e primitivi, levrieri, terrier, segugi, cani da pastore difensori del gregge).
Il comportamento del singolo soggetto non è prevedibile, ma la scelta della razza giusta è il primo passo per evitare i problemi.
Nonostante questo, tutti i cani sono animali sociali (anche se non tutti sono “socievoli”), quindi la solitudine assoluta li mette tutti in crisi. Come risolvere il problema?
Per esempio, offrendo loro la compagnia di un altro animale!
Ad alcune razze (per esempio quelle custodi di greggi e mandrie) può bastare un gattino o un criceto: loro si convincono che il loro compito sia vegliarlo e accudirlo in assenza del padrone, quindi si sentono “al lavoro”, sono perfettamente realizzati e non subiscono stress da separazione.
Altre razze (specie quelle molto predatorie) non legano con gli animali di specie diversa: possono imparare a conviverci pacificamente, ma la loro presenza non allevia la solitudine.
Invece tutti i cani si sentono perfettamente “socializzati” se hanno un compagno della loro stessa specie.
E qui mi sembra già di sentire le reazioni: “DUE cani?!?!? Sono già in ambasce all’idea di prenderne uno, e mi si parla addirittura di DUE??? Ma stiamo scherzando?”
No, non stiamo scherzando affatto.
Il compagno a quattro zampe è sicuramente la soluzione ideale per tutti i problemi di solitudine, e dal punto di vista umano, che ci si creda o meno, tra avere uno e due cani non c’è quasi nessuna differenza…se non dal punto di vista economico, perché le spese ovviamente raddoppiano.
Per quanto riguarda invece l’impegno e le cure, la vera, sostanziale differenza c’è tra “nessun cane” e il primo cane: dopo, perché cambi davvero qualcosa, bisogna superare il numero di tre.
Naturalmente anche in questo caso dipende dalla razza: tra uno e due sanbernardo un filino di differenza di noterebbe, sia se cerchiamo di “stivarli” in un miniappartamento, sia se cerchiamo di portarli fuori al guinzaglio in coppia. Quando si tratta di cani di taglia piccola o media, invece, l’unica cosa che raddoppia è il divertimento. Provare per credere.
A questo punto, però, ricordiamo che le otto ore di lavoro sono solo una parte della nostra giornata: il resto dovremo dividerlo DAVVERO con il nostro cane, non limitandoci a portarlo fuori e a dargli da mangiare, ma lavorando con lui, giocando con lui, creando un rapporto con lui.
Un po’ come accade con i bambini, la qualità del tempo passato insieme è più importante della quantità: quindi prendiamo un cane solo se le famigerate otto ore rappresentano l’UNICA cosa che ci divide da lui. Per il resto (week end compresi) dovremo essere un binomio…o un “trinomio”, se abbiamo scelto la soluzione della coppia, indivisibile: altrimenti è meglio rinunciare e comprarsi un peluche.

Potrei anche pensare di prendere una coppia di piccoli cani: ma non ho il giardino. Anche se si fanno compagnia, chi li porta fuori a sporcare?

I cani (non da cuccioli, ovviamente) sono perfettamente in grado di trattenersi per otto ore senza subire alcun trauma fisico né psichico. Si può benissimo portarli fuori con questo intervallo di tempo. Se l’assenza del padrone supera le otto ore, o se comunque si desidera dare più possibilità di uscite ai nostri cani, ci si può avvalere del servizio di dog-sitter che ormai è reperibile in quasi tutte le città (e se non c’è un servizio “ufficiale”, ci si può sempre accordare in privato con una persona amante dei cani.
Per quanto riguarda i cuccioli, meglio acquistarli in un periodo di vacanza: non solo per avere il tempo di abituarli a non sporcare in casa, ma anche per poter dare loro i primi fondamentali elementi di socializzazione e di struttura gerarchica del branco-famiglia.

Avendo un ampio giardino posso farmi meno problemi? Il cane soffrirà meno la solitudine?

Assolutamente NO! I problemi sono gli stessi. Certo, restare chiusi tra quattro mura è più noioso che passare le ore all’aperto, con distrazioni e giochi a disposizione…ma quello che fa soffrire il cane che vive solo NON è la mancanza di spazio: è la mancanza di contatto con altri esseri viventi con cui interagire.

E’ utile lasciare al cane giocattoli e ossa da rosicchiare per fargli sentire meno la solitudine?

L’osso di pelle di bufalo, i biscottoni duri e via dicendo sono quasi sempre compagni graditi e discreti antistress: i giocattoli, solitamente, no. A meno che il cane non sia un cucciolo piccolissimo, ignorerà palline e salsicciotti se non c’è il padrone a giocare con lui (mentre, sempre come antistress, potrebbe trovare interessante mangiarsi la gamba del divano).

Che cosa serve realmente al cane per sentire meno la solitudine?
Oltre alla compagnia di un altro animale, che continuiamo a raccomandare caldamente, al cane servono soprattutto dei punti di riferimento.
In generale: la sua cuccia tenuta sempre allo stesso posto, le sue ciotole (possibilmente piene, e di un cibo che conosce bene), un’atmosfera fatta di rumori e odori a cui è abituato lo aiutano ad sentirsi più sicuro e quindi a non fare drammi se deve stare da solo per qualche ora.
In particolare, quando si deve uscire per poco tempo, può essere utile insegnare al cane esercizi come la guardia all’oggetto, e lasciargli un qualsiasi oggetto da “sorvegliare” finché non torna il padrone.
Sentirsi utile, sentirsi “al lavoro” e sapere che ci fidiamo di lui per un compito preciso fa sentire il cane realizzato e sicuro di sé, e il tempo gli passa più velocemente.

Ma il cane ha davvero un “senso del tempo”?
A questa domanda, studiosi diversi rispondono in modo molto diverso. C’è chi sostiene assolutamente di no, c’è chi è convinto del contrario: la verità, per ora…la sanno solo i cani!
Alcuni soggetti (specie quelli molto ansiosi) effettivamente sembrano non notare la differenza tra dieci minuti e dieci ore, tant’è vero che quando usciamo di casa e rientriamo subito dopo si festeggiano come se non ci vedessero da secoli: ma questo è un po’ poco per stabilire che il cane non sa quanto tempo è passato. Potrebbe significare semplicemente che anche un solo “secondo” senza di noi gli sembra un’eternità, il che è sinonimo di amore e non si incapacità di contare i minuti.
D’altro canto è innegabile che i cani abbiano un “orologio biologico” precisissimo. Il mio cane (e decine di migliaia di altri) si alza ogni giorno dalla sua brandina esattamente tre minuti prima dell’ora in cui mio figlio torna da scuola: ci potrei bollire le uova alla coque senza bisogno di timer.
La domanda, però, è la seguente: “sa” che è l’ora giusta in cui rientra Davide, o “sente” qualcosa che gli annuncia il ritorno di Davide (per esempio il rumore del motore del pullman) molto prima di quanto possiamo sentirlo noi?
Io non conosco la risposta.
Quello che so – perché questi casi sono stati studiati e monitorati – è che i cani che soffrono di ansia da separazione (vedi prossima pagina) manifestano i sintomi entro la prima mezz’ora di assenza del padrone, e mai dopo.
Che poi il padrone rientri dopo mezz’ora e un minuto, oppure dopo dieci giorni, il risultato non cambia.

SPECIALE: ANSIA DA SEPARAZIONE



Il mio cane, quando lo lascio solo, distrugge tutto
Questo NON E’ il normale comportamento di un cane lasciato solo in casa: di solito questo atteggiamento è sintomo di una vera e propria patologia comportamentale, scoperta solo in tempi recenti e divenuta sempre più frequente in questi ultimi anni, che si chiama ANSIA DA SEPARAZIONE.

SINTOMI E CAUSE
L’ansia da separazione è un problema psicologico che si manifesta con reazioni di vario tipo: all’inizio può trattarsi di semplici segnali di disagio (pianti, mugolii), che poi diventano agitazione vera e propria (depressione o iperattività, abbaio incessante ecc.) e che possono sfociare in un comportamento aggressivo-distruttivo che può ripercuotersi sul cane stesso (autolesionismo), sulla casa (sporcare in casa o…demolire letteralmente la casa) e talora sullo stesso padrone (mordere per impedirgli di uscire).
Le cause prime dell’ansia da separazione sono l’insicurezza e la mancanza di autostima: questo si riscontra spesso nei cani tenuti come “bambini di casa”, in cui è il padrone a proteggere il cane e non viceversa. Il cane vive sotto una campana di vetro e quindi non ha alcuna possibilità di acquisire coscienza dei propri mezzi.
Insicurezza ed eccessiva dipendenza dal padrone sono vere e proprie “fabbriche” di ansia da separazione.

Un’altra causa predisponente all’ansia da separazione è il distacco troppo precoce dalla madre, che causa un trauma nel cucciolo: questo stato d’animo ritorna quando il cucciolo, che si è legato al padrone, si sente “abbandonato” anche da quest’ultimo.
Per questo motivo molti dei cani di importazione venduti tramite grossisti e negozi, che per arrivare in negozio a un’età “appetibile” per il cliente devono essere staccati dalla madre troppo presto, manifestano la patologia.

Infine, talora l’ansia da separazione può essere causata dall’arrivo di un neonato o (più sporadicamente) di un nuovo membro adulto della famiglia (padrone che si sposa, madre anziana che viene a vivere con figlio padrone di dobermann ecc.). Molte delle manifestazioni descritte come “gelosia” dai proprietari spesso altro non sono che sintomi di ansia da separazione.
NON causa, invece, ansia da separazione l’arrivo di un altro cane: la “gelosia”, se c’è, è solo antagonismo gerarchico, e l’ansia non c’entra nulla.
Anzi, in diversi casi l’ansia da separazione si può curare dando un compagno (o una compagna) al cane che ne è affetto.
Ma perché questa patologia è diventata così frequente negli ultimi anni?
Semplice: perché l’uomo ha capito che il cane si esprime meglio, e sviluppa al meglio le proprie doti caratteriali, se vive in famiglia.
La conseguenza è che i cani vivono a contatto sempre più stretto con l’uomo, e quasi sempre abitano “dentro” casa, a differenza di quanto accadeva fino a qualche anno fa.
Quando i cani “stavano fuori”, in cortile o in giardino, e con l’uomo passavano solo i momenti di lavoro (che rappresentavano, nella stragrande maggioranza dei casi, anche l’unico motivo per cui l’uomo prendeva un cane!), il rapporto era sicuramente incompleto, e lo stesso addestramento dava risultati assai modesti rispetto ai metodi attuali: in compenso l’ansia da separazione era un problema praticamente sconosciuto.
La semplice constatazione storica dovrebbe far capire ai padroni la differenza tra un cane “sociale” e un cane “appiccicaticcio”, incapace di gestirsi autonomamente.
Infatti, se è giustissimo vivere insieme al cane per la maggior parte del tempo, è altrettanto importante abituare il cane a non considerarci una “stampella” senza il cui appoggio l’animale “frana” psicologicamente.

SINTOMI PREOCCUPANTI
- quando il cane capisce che il padrone sta per uscire lo segue passo passo, uggiolando e piangendo;
- appena il padrone è uscito, il cane raspa contro la porta sperando di aprirla per seguirlo;
- il cane si attacca morbosamente a un oggetto che appartiene al padrone (vecchio calzino, ciabatta ecc. e manifesta un comportamento aggressivo/possessivo se qualcuno cerca di toglierglielo.
- il cane rifiuta il cibo in assenza del padrone
- il cane saluta il rientro del padrone con manifestazioni esagerate, pianti, gemiti ecc

PREVENZIONE
Il cucciolo deve capire che il padrone è una presenza “sicura e costante”, ma non “perenne”: quindi, fin dai primissimi mesi di vita, ogni tanto dovremo lasciarlo solo.
Inizialmente bastano cinque-dieci minuti, perché è fondamentale che il padrone rientri appena il cucciolo comincia a manifestare segni di ansia: in lui deve prendere piede, e diventare solida come una roccia, l’assoluta certezza che non l’abbiamo abbandonato e che torneremo sempre.
Una volta instaurata questa certezza, però, il cucciolo dovrà anche capire che “sempre” non significa necessariamente “subito”: quindi dovrà essere progressivamente abituato ad assenze di dieci minuti, un quarto d’ora, e infine anche di due-tre ore.
Creiamo appositamente queste situazioni, lasciando il cane a casa anche in alcune occasioni in cui potremmo portarlo con noi: non è una crudeltà, ma un passaggio obbligato della sua educazione e un passo indispensabile per ottenere buoni risultati in addestramento.
Per controllare se ci sono sintomi di ansia da separazione si può attuare il seguente metodo:
1 – consegnare al cucciolo oggetti “antistress”, per esempio un osso di pelle di bufalo da rosicchiare;
2 – accendere un registratore nella stanza in cui si trova il cucciolo;
3 – al rientro, valutare se il cucciolo:
a) ha utilizzato l’”antistress”, e in quale misura;
b) ha sfogato lo stress su altri elementi della casa (sedie rosicchiate, cuscini sventrati ecc.);
c) si è sfogato abbaiando (ascoltando la registrazione).

Se si notano anche i minimi sintomi di ansia da separazione, sarà bene:
1 – raccorciare i periodi di solitudine, ma senza eliminarli completamente: quando il cane non mostrerà più sintomi si potranno nuovamente allungare i tempi;
2 – durante la giornata, ignorare completamente il cane per un certo periodo di tempo (per esempio mezz’ora al giorno, estendibile fino a un’ora), anche se venisse a cercare coccole o gioco;
3 – insegnargli i primi esercizi di obbedienza, cosa che aiuta a stabilire una gerarchia precisa riequilibrando un rapporto male impostato e aiutando il cucciolo a trovare l’autocontrollo;
4 – appena avrà capito il significato di ordini come “seduto” e “terra”, ottenere che resti seduto in una stanza mentre noi ci spostiamo in un’altra, inizialmente non uscendo dal suo campo visivo, e più avanti sì.
Quando torneremo lo premieremo e loderemo se avrà obbedito, mentre lo ignoreremo completamente (anche se venisse a festeggiarci) se avrà lasciato la posizione.
5 – può essere utile abituare il cane a stare per un certo periodo nella cuccia o meglio ancora in una gabbia (o vari kennel) in cui lui dovrà passare un po’ di tempo mentre noi rimarremo in vista, ma ignorando qualsiasi suo tentativo di richiamare la nostra attenzione.
MAI PUNIRE un comportamento legato all’ansia (da separazione e non), perché questo peggiorerebbe lo stress e di conseguenza la manifestazione patologica che ne deriva.

L’IMPORTANZA DI CAPIRE CHE ESISTE UN PROBLEMA
Chi pensasse che l’ansia da separazione in fondo è un segno d’amore per il padrone, e che non c’è motivo di prevenirla né di curarla perché intanto “nessuno ci dividerà mai”…be’, deve rendersi conto che l’amore è una cosa, e la possessività un’altra.
Purtroppo l’ansia da separazione è legata assai più alla possessività che all’amore, e questo mette in discussione anche i rapporti gerarchici all’interno della famiglia.
Un cane convinto che noi “gli apparteniamo”, e che può disporre di noi a suo piacimento, non potrà certo assumere il giusto ruolo di “sottoposto” nel nostro “branco” familiare, ma tenderà diventare sempre più dominante.
Molte persone provano una sorta di “autocompiacimento” che gli impedisce addirittura di ammettere che il loro cane abbia un problema di comportamento (anzi, credono che quello di totale dipendenza, comprensivo di ansia da separazione, sia l’unico tipo di rapporto corretto tra cane e padrone!).
Inutile dire che questo porta inevitabilmente a ritardare l’azione terapeutica…almeno fino al momento in cui il problema diventa davvero grave e di difficile soluzione.

TERAPIA
Se il cucciolo ai primi sintomi di ansia da separazione può essere “curato” esattamente come abbiamo visto per la prevenzione, il caso del cane adulto diventa più difficile, specie nei casi in cui le manifestazioni diventino apparentemente aggressive.
Conosco due dobermann adulti che impediscono letteralmente ai padroni di uscire di casa, afferrandoli con i denti: il primo proprietario ride del problema (considerandolo un “segno d’affetto”, vedi box) e quindi chiede semplicemente alla moglie di trattenere il cane quando lui deve uscire dal cancello. Il secondo proprietario è una donna, che ha ormai un vero e proprio terrore delle reazioni del suo cane quando lei esce di casa: per questo inizialmente ha risposto alle richieste del cane cercando di portarlo sempre con sé, poi ha finito per uscire di casa meno possibile…infine si è ritrovata alle prese con un esaurimento nervoso che l’ha spinta a prendere in considerazione l’idea di disfarsi del cane.
Prima di ridursi in questo modo, ovviamente, è bene intervenire contattando un buon comportamentista che possa aiutarci a risolvere il caso, tenendo presente che ogni cane avrà reazioni diverse e che quindi non c’è una “regola fissa” uguale per tutti.
Una cosa che comunque bisognerà sempre fare è controllare le reazioni del cane quando il padrone si allontana: si solito le manifestazioni ansiose si scatenano quasi subito, nella prima mezz’ora di assenza.
I possibili metodi di controllo consistono o nell’utilizzare una persona di famiglia che (restando nascosta) annoti tutti i comportamenti del cane, o una videocamera che inquadri la stanza in cui il cane rimane solo, mentre il padrone può vedere dall’esterno cosa succede.
Il padrone dovrebbe sempre rientrare (avvisato dal familiare, o messo in allarme dalla videocamera) ai primissimi sintomi di ansia del cane.
Altro punto importante: il padrone non deve mai dilungarsi troppo in “saluti” e rassicurazioni (mi raccomando, stai bravo, torno subito ecc.) nella speranza di tranquillizzare il cane: in realtà otterrebbe l’effetto contrario.
Anche i rientri in casa devono essere tranquilli e “normali”, senza accentuare troppo le attenzioni verso il cane.
Tutti i soggetti con ansia da separazione dovrebbero essere addestrati, sia per ripristinare un rapporto corretto (che non dev’essere morboso), sia per acquisire fiducia in se stessi.
Qualora la terapia comportamentale da sola risulti inefficace o solo parzialmente efficace si potrà ricorrere a farmaci (ansiolitici) che possono “aiutare” la soluzione del problema, ma che non dovrebbero mai essere considerati l’unica soluzione.
L’ansia da separazione non guarisce MAI da sola: inutile illudersi.
Il miglior metodo è sempre la prevenzione, ma ai primi sintomi bisogna correre ai ripari, perché un cane che subisce troppo a lungo queste situazioni di stress può anche ammalarsi fisicamente.
In casi particolarmente gravi esistono centri specializzati per la terapia, dove il cane viene curato in coppia o in gruppo per riabituarlo al concetto di “branco” e “disumanizzarlo” almeno in parte, ridandogli la sua dignità di cane e insieme la tranquillità che viene dall’autostima.
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Messaggio  luke68 Mar Gen 29, 2013 1:07 pm

Ed infatti ieri sera ho trovato il prugno regalato a mia moglie per il compleanno a luglio completamente reciso!!! avevo messo una rete metallica di protezione proprio 2 giorni fa, cosa che evidentemente non è stata gradita alla stronzetta che porto fuori 2 ore al giorno con qualsiasi condizione atmosferica!!!!!
Sul lato che confina con i tre setter aveva già deciso, molto precocemente, che da grande avrebbe fatto il giardiniere ed infatti mi ha potato tre gelsomini in modo barbaro. Quando vede sti cani che si avvicinano perde un po' il controllo e comincia a potare...........
Non ho ancora capito se lo fa perché vuole andare oltre la rete per giocare oppure per difesa del territorio.....la coda però é alta.
Ciao a tutti
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Messaggio  alessandro zampetti Mar Gen 29, 2013 1:11 pm

drago con le femmine i calore al di la della recinzione mi ha potato il lauro che da alto 3 mt è adesso alto 1 mt.......................................
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Messaggio  luke68 Mer Gen 30, 2013 11:43 am

Riferendomi all'articolo della Rossi vorrei aggiungere che ogni cane, pur appartenendo ad una razza prestabilita è un soggetto unico con delle caratteristiche che solo lui ha.La mia cucciola per esempio ama stare fuori anche quando siamo tutti in casa e se la invito ad entrare non vuole.
La mattina scende dal divano, saluta tutti noi buttandosi a terra a panza all'aria ma poi si piazza davanti alla porta pronta pe uscire e non perchè deve sporcare, ma perchè deve andare a controllare; se la richiamo dentro non entra più, la devo "ingannare" con il bocconcino.
Ogni tanto mia moglie dice che prima faceva di più le feste; a me questa sua indipendenza piace perchè in lei vedo un cane molto dignitoso, per niente servile e che mette il lavoro al primo posto.
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Messaggio  karanuker Mar Apr 09, 2013 1:26 pm

di VALERIA ROSSI – Mi sembra giusto – anche se giornalisticamente non è correttissimo, visto che le fonti non sono controllate – riportare il contenuto di cinque diversi messaggi che ieri mi sono arrivati in email o su Facebook, da persone diverse: poiché tutti contengono la stessa identica versione dei fatti, riportata da persone che sostengono o di conoscere personalmente Valentina Meloni (la ragazza aggredita dai suoi due cani corso), o di conoscere altre amiche della ragazza, ritengo che l’attendibilità sia almeno sufficiente per giustificare la pubblicazione.
Da queste comunicazioni emerge che:

a) i cani NON erano affatto di Valentina, ma del suo ex marito, che è andato a vivere all’estero e li ha lasciati a lei;

b) i cani non sarebbero stati precisamente cresciuti con metodi gentili: pare che abbiano sempre preso “pedate, strigliate e strattonate”;

c) quando Valentina si è ritrovata con i due cani da gestire, per mesi li avrebbe tenuti legati a catena corta: “stranamente” i cani abbaiavano quando qualcuno si avvicinava. Solo dopo diversi inviti – da parte dei vicini – a tenerli in condizioni più decorose, avrebbe costruito loro un recinto dove passavano tutte le loro giornate;

d) il maschio aveva già manifestato aggressività contro un conoscente, a volte ringhiava anche alla proprietaria e aveva l’abitudine di afferrarla per un braccio senza affondare i denti, ma tenendola così saldamente che a volte doveva intervenire qualcuno per toglierglielo di dosso. Lei commentava “è solo un gioco, lo fa per attirare l’attenzione”, e non ha mai dato peso alla cosa.

e) il fattaccio è successo quando Valentina ha portato fuori insieme i cani, con la femmina in calore. Quando il maschio ha tentato di montarla lei si è messa ad urlare, l’ha preso a calci e poi (questa frase appare in tutti i messaggi, e tutti sostengono che Valentina l’abbia riferito all’ex marito) ha “tentato di cavarli gli occhi”. A questo punto Rubo ha reagito (mi sarei sinceramente stupita del contrario);

f) dopo l’aggressione, Rubo si sarebbe ritirato nel suo recinto, dove sarebbe entrato un carabiniere intenzionato a catturarlo: il cane ovviamente gli ha ringhiato e lui gli ha sparato a bruciapelo senza pensarci due volte.
Questo è un fatto che, se confermato, getterebbe veramente una pessima luce sullo sparatore, visto che c’era tutto il tempo di chiudere semplicemente il recinto, di attendere l’arrivo di un veterinario e di procedere alla sedazione senza bisogno di ammazzare un cane che non avrebbe avuto alcun modo di nuocere a nessuno.

Ecco: questo è quanto emerge dai racconti. Se le cose stessero davvero così si tratterebbe di una versione decisamente ben diversa da quella dei “cani impazziti”, visto che l’aggressione sarebbe il risultato più che prevedibile di una serie veramente impressionante di errori umani.
Ora si spera, quantomeno, che gli inquirenti arrivino alla verità…e se si trattasse davvero di questa verità, la povera Emma (il cane superstite) dovrebbe essere liberata da qualsiasi accusa e quindi non essere più trattata da “killer”, ma semmai da vittima (visto che anche lei è stata ferita).
Rimaniamo in attesa (anche se i giornali hanno già smesso di occuparsi del caso), lasciando come sempre ampio diritto di replica a chiunque non concordasse con la versione qui riportata o a chi avesse modo di fornirci ulteriori informazioni.

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Messaggio  luke68 Mar Apr 09, 2013 8:48 pm

Io continuo a sostenere la mia tesi: se non c'è una diagnosi di un veterinario che sostenga che il cane abbia un broblema neurologico la colpa se una cane morde è sempre dell'uomo: perchè lo ha fatto vivere in condizioni disumane, perchè lo ha trattato come un bambino, o semplicemente perchè non conosce il linguaggio animale....non ce nè....la colpa è sempre la nostra Crying or Very sad Crying or Very sad Crying or Very sad
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Messaggio  laura Mar Apr 09, 2013 9:19 pm

non avevo dubbi che,in questa come in tante altre storie analoghe,la colpa fosse la nostra,ma si sa...è molto più semplice incolpare chi non ha diritto,o meglio facoltà di replica...
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Messaggio  fox Mar Apr 09, 2013 9:32 pm

era meglio se moriva anche la femmina.....a chi vuole intendere...
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Messaggio  karanuker Mar Mag 14, 2013 7:29 am

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Socializzazione o flooding?
Valeria Rossi | 13 maggio 2013 | 7 Commenti | Stampa articolo
di VALERIA ROSSI – Ho appena finito di “conversare” su FB con un ragazzo che mi aveva chiesto un consiglio: non ho visto la notifica (o FB non me l’ha mai mandata, nin zo) e non gli ho mai risposto.
Quindi lui ha ringhiato a me, io ho ringhiato a lui… poi abbiamo chiarito la questione (ma intanto approfitto per dirlo a tutti coloro che mi scrivono: se non vi rispondo, vuol dire che per un motivo o per l’altro non ho letto. Quando leggo, rispondo a TUTTI quelli che mi fanno domande… quindi, per favore, non pensate che me la tiri e rimandatemi il messaggio!)… ed è saltato fuori un argomento che ritengo di grandissima importanza e pure di interesse generale.
Quindi ho pensato che valesse la pena di scriverci qualcosa (per la serie: pure dalle ringhiate, a volte, escono spunti positivi).
Il post del ragazzo lo copincollo qui sotto quasi integralmente:

Ho un meticcio di cinque mesi preso da un associazione che cerca casa ai randagi della mia città, è stato allattato artificialmente poichè tutta la cucciolata e stata trovata per strada a pochissimi giorni di vita.
Quando l’ho preso tutti mi mettevano in guardia perchè non avendo avuto la madre non gli erano state impartite le regole base, alcuni che avevano visto crescere la cucciolata addirittura storceva il naso e assumevano una faccia del tipo: ”Ma chi te l’ha fatto fare!?”, credo anche per la sua mole.
Io comunque ho passato parecchie ore in questi mesi (e non solo, dato che gli animali sono da sempre una mia passione) a leggere, informarmi e cercare di farlo crescere al meglio, e in effetti sta diventando davvero un bel cane e con un bellissimo carattere. C’è un solo problema, anche abbastanza consistente direi, ma spero che non sia irrisolvibile: ogni volta che usciamo abbaia terrorizzato alzando il pelo ad ogni strano rumore, ogni persona o animale, ogni sacchetto di plastica ecc.
Premetto che proprio per socializzarlo il più possibile, lo porto fuori dal primo giorno in cui l’ho preso (anche se il veterinario lo sconsigliava per via dei vaccini) e gli faccio fare lunghe passeggiate. Ho cercato di fargli fare più esperienze possibili, anche giocando con altri cani e persone, credo di aver fatto tutto il possibile ma nonostante tutto peggiora ogni giorno di più.
Sicuramente lui percepisce il mio nervosismo (sfido chiunque a non essere nervoso dopo che il proprio cane ha abbaiato ininterrottamente per 10 minuti, magari contro qualche bambino impaurito): ma oltre al fastidio che può procurare, a me dispiace moltissimo perchè lui è davvero buonissimo, tant’è vero che appena qualcuno gli si avvicina smette di abbaiare e gli fa le feste, ma giustamente le persone che lo vedono abbaiare non gli si avvicinano più. Per fortuna, dopo un po’ che siamo in giro, smette (o quasi).
Analisi della situazione: il cucciolo, abbandonato a pochi giorni di vita, non ha ricevuto una corretta impregnazione sull’uomo (se qualcuno non sapesse di cosa si tratta, troverà tutte le spiegazioni del caso in questo articolo), perché è stato allattato da una volontaria ed è rimasto sempre e solo a casa sua per due mesi, finché non è arrivata l’adozione.
A dire il vero poteva andare anche peggio, perché spesso si trovano cucciolate che non hanno ricevuto alcuna impregnazione sull’uomo (tipico esempio, quello delle cucciolate di cani ferali): in questi casi le cose si complicano moltissimo, ma anche avere a che fare con una sola persona comporta dei problemi… specialmente se (come in questo caso) il cucciolo deve trarre tutte le sue conclusioni da solo, senza i “consigli” della mamma.
Questp è un fattore fondamentale, che però spesso sfugge: è verissimo che i cuccioli si impregnano facendosi toccare, annusare eccetera… ma è altrettanto vero che la prima cosa a cui loro badano, quando per la prima volta vengono avvicinati/manipolati dall’uomo, è la reazione della madre.
E’ LEI il vero punto di riferimento dei piccoli, è lei che osservano e soprattutto imitano. Se la mamma, all’avvicinarsi dell’uomo, reagisce con segnali (visivi e olfattivi) di calma e rilassatezza, i cuccioli non si preoccupano e accettano il nuovo venuto partendo da una situazione di relax. Se al contrario la mamma non c’è, e quindi non è in grado di passare messaggi tranquillizzanti, la manipolazione umana per il cucciolo potrebbe essere fonte di enorme preoccupazione e quindi i risultati positivi dell’impregnazione sarebbero in parte vanificati.

Non mi risulta, purtroppo, che esistano studi scientifici in materia: però l’osservazione diretta mi suggerisce di trarre queste conclusioni. Non solo i cuccioli orfani, ma anche i cuccioli di cagne che hanno paura dell’uomo non escono dalla famiglia d’origine con un’impregnazione completa e corretta.
E credo che questo sia anche il caso del nostro cucciolo.

Ora… cosa succede in caso di mancata impregnazione, o di impregnazione incompleta?
Succede che, al termine dell’ottava settimana di vita, non si rimedia più: la mancata impregnazione (così come l’impregnazione parziale/incompleta) è irreversibile.

Ma che significa, tradotto in termini pratici?
Significa che il cane non considera gli umani (presi nell’insieme) come conspecifici: non pensa che siano parte del suo gruppo sociale, insomma non pensa che siano anche loro “cani”, per quanto un po’ diversi.
Questo non vuol dire che il cane non possa affezionarsi a uno o più umani, che non possa collaborare con loro, che non possa essere un cane “normale” all’interno della propria famiglia: qualsiasi animale al mondo è disponibile all’interazione con altre specie, tanto più quando si rende conto che questo gli procura dei vantaggi (giusto ieri parlavo con delle amiche della mia mantide religiosa Gemma, che da bambina portavo appuntata alla giacca come una spilla e che non si è mai sognata di volar via, perché mi riconosceva e in qualche modo gradiva anche l’idea di usarmi come taxi: e se si può fare con un insetto, figuriamoci con un animale sociale!).
Però il cane non sarà in grado di generalizzare passando dal singolo all’intera specie: ovvero, riconoscerà i “suoi” umani, li amerà, potrà essere il miglior cane del mondo tra le mure domestiche… ma ogni volta che incontrerà un umano diverso da quelli che conosce, dovrà ricominciare da capo il processo di diffidenza-conoscenza-accettazione.

E’ una storia infinita?
Fortunatamente no, perché dopo un po’ subentra la cosiddetta “abituazione”: ovvero, se io vedo uno-due-tre-cinque oggetti X che mi facevano paura, ma ogni volta mi rendo conto che sono innocui… al sesto che incontro la mia diffidenza comincerà a diminuire; al decimo sarà quasi passata; al ventesimo (o al centesimo… dipende dalle mie doti caratteriali e intellettive) smetterò di aver paura dell’oggetto X, perché avrò finalmente capito che tutti gli oggetti X sono innocui.
Questo, purtroppo, non funziona in caso di vera e propria fobia (chi ha paura dei ragni può incontrarne millemila senza essere mai morso da nessuno di essi, ma non per questo gli passerà la paura: perché la fobia è una paura immotivata), mentre funziona in caso di paure motivate… e quella del cucciolo è motivatissima.
In caso di impregnazione mancata o incompleta, per lui tutti gli umani che incontra sono potenzialmente pericolosi.
Il soggetto di cui stiamo parlando, che è stato parzialmente impregnato sia perché allevato presumibilmente da una sola persona, sia perché non aveva a disposizione la madre, non è fobico nei confronti degli umani, ma è giustamente diffidente: quindi, ad ogni nuovo approccio, “mette le zampe avanti” abbaiando contro a chi non conosce (traduzione: “Stai lontano, sono più pericoloso di te, non vedi che sono un ferocissimo cane killer?”).
Se poi l’umano non ci casca e gli si avvicina amichevolmente, lui lo inserisce nella casella dei “buoni” (ovvero: risultati innocui alla prova pratica) e gli fa le feste… perché, di suo, lui sarebbe un cagnolino collaborativo e socievole.
Nota aggiuntiva: essendo stato allevato e svezzato da una donna, come racconta il suo adottante, “alle ragazze fa tre volte più feste!”: il che la dice molto lunga sull’importanza dei rapporti che i cuccioli hanno con la nostra specie nei primissimi giorni di vita.

Ma ora parliamo più dettagliatamente della socializzazione del cucciolo: processo che inizia quando l’impregnazione finisce (quindi intorno alle sette-otto settimane) e che si conclude, secondo il padre dell’etologia canina Eberhard Trumler (nella foto), a quattro mesi. Altri Autori, recentemente, hanno spostato in avanti questo termine, fino ai sei mesi circa: sta di fatto che anche la fase di socializzazione ha un inizio e una fine, dopodiché non otterrà più gli stessi risultati.
Ma che cos’è, esattamente, la socializzazione?
Nè più e né meno di un processo di abituazione, rivolto a tutto ciò che fa parte del nostro mondo. Socializzare un cucciolo significa, intanto, allargare i confini della sua conoscenza degli esseri umani inserendo tutto ciò che sarebbe matematicamente impossibile fargli conoscere prima (nessun privato, ma anche nessun allevatore, potrà mai impregnare i cuccioli su uomini-donne- bambini-ragazzi-veterinari-vigili urbani-suore-preti-persone di colore diverso dal nostro… eccetera eccetera). E poi c’è tutta la parte non-umana che fa comunque parte della nostra società: automobili, autobus, altri animali e così via.
Se l’impregnazione, dunque, serve a far considerare gli umani come partners sociali del cane, la socializzazione serve: ad ampilare il suo concetto di “umano” e a fargli considerare il resto del mondo come parte del suo normal habitat, quindi da non temere (e neppure da predare).

MA… attenzione: cosa succede quando si va a socializzare un cucciolo non perfettamente impregnato?
Succede che potremmo riversagli addosso una vera e propria overdose di stimoli che non tutti i cuccioli sono in grado di reggere: perché il processo non è stato graduale, ma in pratica tutte le informazioni (sugli umani e sull’ambiente) gli arrivano addosso in un colpo solo.
Per questo può succedere che, anziché sottoporre il piccolo a una normale e graduale abituazione, lo si sottoponga a una vera e propria “inondazione” di stimoli (quella che in etologia viene definita con il corrispondente termine inglese di flooding). Purtroppo il flooding ha due particolarità: la prima è quella di essere traumatico (un po’ come se il signore di cui sopra, quello che ha paura dei ragni, fosse chiuso in una stanza piena zeppa di aracnidi), la seconda è che… non sempre, ahinoi, funziona. In qualche caso fa passare davvero la paura, ma in altri la moltiplica per mille. Per questo si tratta di un processo che andrebbe sempre e solo messo in atto da persone super-esperte, in grado di leggere perfettamente il cane e tutti i segnali che emette, compresi i primi sintomi di peggioramento anziché del miglioramento sperato.
Bene (anzi, non troppo bene): quando un cucciolo dà segni di non totale accettazione degli umani nell’insieme (ovvero, qualora non sia stato impregnato o lo sia stato solo parzialmente), buttarlo in mezzo a troppi umani può somigliare più a un flooding che ad una buona socializzazione. E in quanto tale, come le medicine, può comportare effetti collaterali anche seri.
Visto che il nostro cucciolo, anziché migliorare, peggiora man mano che procede l’esposizione a stimoli umani diversi, suggerirei di sospendere questa “eccessiva” socializzazione e di passare ad incontri mirati e programmati con pochi umani, tutti diversi (uomini, donne, bambini eccetera), ovviamente tutti ben preparati all’incontro, consapevoli del modo in cui devono (e NON devono) approcciare il cane: cosa che si potrà sicuramente fare in un buon centro cinofilo, ma con un po’ di buona volontà – e se si hanno tanti amici! – si può anche organizzare in proprio.
Prima incontri singoli, poi con una coppia di persone, poi con un gruppetto di tre… sempre con molta gradualità e sempre senza forzare il cane, ma aspettando che sia lui a cercare il contatto (cosa che quasi sicuramente farà, perché è un animale sociale: e questo semplice fatto ci aiuta moltissimo a superare i casi di cani paurosi/diffidenti).
Anche quando il cane avrà deciso di avvicinare l’umano di turno, lui non dovrà mai prorompere in ulteriori overdose di coccole, baci & abbracci: dovrà restare neutro, al massimo dispensando un paio di carezze MAI sulla testa, ma sempre sulla gola e sul collo.

Ripetere, ripetere, ripetere (variando il più possibile persone, luoghi e circostanze) finché il cane non comincerà a generalizzare e a capire che gli umani nell’insieme (e non soltanto i “suoi” umani) sono esseri simpatici, con cui vale la pena di fare amicizia.
Ci vorrà un po’ di pazienza, ma con questo cucciolo in particolare sono quasi sicura al cento per cento che funzioni: e in realtà funziona quasi con tutti i cani (non fobici, lo sottolineo ancora, ma solo diffidenti/timidi), solo con tempi che possono variare molto dall’uno all’altro. In questo caso mi sento di prevedere tempi piuttosto brevi, visto che il cucciolo è tendenzialmente collaborativo.
Importantissimo, anche se sembra superfluo dirlo: l’abituazione prevede che l’oggetto X, fonte di timore, non si riveli MAI “pericoloso per davvero”: una pestata di zampa involontaria potrebbe vanificare settimane di lavoro, quindi bisogna stare molto attenti al fatto che il cucciolo non riceva MAI impressioni negative dagli umani con cui si rapporterà.

Quanti incontri serviranno?
Purtroppo non posso dirlo, anche se le esperienze fatte nel corso dei seminari sui cani tutor hanno suggerito a me e a Claudio Mangini che uno dei “numeri magici” sia il sei: di solito sei incontri positivi abbassano sensibilmente la diffidenza iniziale (per esempio, permettono a un cane di ridurre la distanza di relazione dai cinquanta metri iniziali a mezzo metro). Da qui ad accettare con piacere il contatto fisico, però, ce ne passa… e lì una generalizzazione non sono in grado di farla, perché dipende tutto dalle doti intrinseche del cane: c’è quello che capisce al volo e quello che ci mette un po’ di più, c’è quello che “sì, okay, millemila persone si sono rivelate innocue, ma prima di fidarmi della milleunesima devo metterla comunque alla prova” e che c’è quello che “vabbe’, se in tre non mi hanno fatto nulla di male, al quarto vado direttamente a fare le feste io”.
Devo anche dire, purtroppo, che i cani più “intelligenti” (intesi come quelli più dotati nel problem solving) si sono rivelati mediamente quelli “più duri a morire”: un po’ come accade anche tra gli uomini, i più ingenui e fiduciosi sono anche i più “tontoloni”.
Quello che è certo è che bisogna stare molto attenti alle sovraesposizioni, un po’ con tutti i cuccioli ma in modo particolare con quelli che hanno avuto in passato qualche deprivazione o qualche lacuna: anche portare un cucciolo normalissimo al mercato, in mezzo a una marea di stimoli, alla prima uscita di casa, non è “socializzazione” ma flooding. Ci si deve arrivare per gradi, non così di botto.
Lo stesso vale, ovviamente, per i rapporti con gli altri cani: averne “troppi”, e magari troppo intensi (vedi cucciolino “dato in pasto” a dieci altri cuccioli di pari età, ma grossi il triplo di lui), non crea cani felici di giocare con tutti, ma cani aggressivi verso i loro simili. Di questo aspetto, però, avevamo già parlato in un altro articolo: oggi, invece, ho ritenuto importante specificare che anche gli umani, soprattutto nel caso di cuccioli dal “passato difficile”, vanno presi a piccole dosi e non a carrettate.
Altrimenti i cani diffidenti verso l’uomo li creeremo noi, quando il nostro intento era esattamente l’opposto.
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